La
capitale, la grande città di Temno, era certamente la città più bella e più
ricca dell’intero paese, anzi, in assoluto, la più bella e la più ricca del
mondo intero. Le sue strade erano bianche e pulite, i suoi palazzi erano alti,
le loro finestre lucide, ai loro balconi, ai crocevia, ai bordi dei marciapiedi
era sempre un nascere e un fiorire di fiori di mille colori, in ogni stagione
dell’anno; i lampioni illuminavano a giorno tutte le vie, per tutta la notte,
e naturalmente nessuno doveva temere di uscire, da solo, anche a sera inoltrata.
I vicoli erano deserti e puliti, nessun vagabondo vi si nascondeva, almeno
vicino al centro della città; ma, verso la periferia…
Verso
la periferia, pian piano spuntava la presenza dell'altra
città, della Città Inferiore, che si risolveva in baracche e tuguri
camuffati da palazzoni, in un ammasso di persone che passavano la giornata ad
attendere che calasse il buio, e le notti a risalire verso la Città Superiore,
a riversarsi nei vicoli di periferia, in attesa delle macchine dai grandi fari
che scendevano dai garage lastricati di marmo e facevano salire qualcuno di quei
disperati e quelle disperate.
Perché
quei disperati e quelle disperate erano le loro bambole; erano i loro
passatempi. E alcuni di loro, la mattina, tornavano alle loro case, alle
famiglie con nugoli di bambini ed i vecchi svaniti; altri, invece, rimanevano
nella Città Superiore, e venivano scambiati, comprati e venduti dai suoi
abitanti, e diventavano loro proprietà, i giocattoli della Città Superiore.
Lyomin
aveva ventun anni, grandi occhi verdi e capelli neri, scarmigliati. Il suo viso
era liscio e pulito, ed indossava uno di quegli abiti che usavano i marchettari;
in pratica, non aveva quasi niente addosso, e quello che aveva non era pensato
allo scopo di coprirlo. Da anni ormai, ogni notte, andava alla Città Superiore,
saliva su una macchina e tornava con pochi biglietti o qualche moneta; ma quella
sera, invece di aspettare, nascosto, come al solito, era andato in un locale che
serviva proprio a quello scopo, per cercare qualcuno che volesse prendersi un
amante.
In
quel locale c’erano parecchi uomini, sia Patrizi, come si facevano chiamare,
sia Inferiori, come li chiamavano. Le donne erano poche, ed erano in maggior
parte come lui, e gli uomini che le avvicinavano erano rari e furtivi: c’erano
altri locali per gli uomini che volevano incontrare donne, e viceversa, e altri
ancora per le donne che cercavano altre donne. Si avvicinò al banco; non aveva
denaro, ma non gli avrebbero dato da bere comunque. Anche gli altri marchettari
erano in piedi, alcuni giravano sfacciatamente, mostrandosi, fra i tavoli, altri
erano fermi, e vagavano con lo sguardo, come lui; soltanto i Patrizi erano
seduti e bevevano, additandosi l’un l’altro uno dei ragazzi o guardando
soltanto, solitari. I ragazzi si rivolgevano agli uomini seduti, parlandogli
anche provocatoriamente, visto che in quel luogo le consuetudini, per un tacito
accordo, sembravano accantonate. Gli uomini allungavano le mani, toccando i
corpi che gli si offrivano, e quando un ragazzo si sentiva offrire da bere,
poteva sperare che “l’affare” fosse concluso.
Lyomin incrociò lo
sguardo di un uomo di mezza età, non molto bello, seduto ad un tavolo in fondo.
Istintivamente gli venne da abbassare lo sguardo, ma si fermò in tempo. Per
darsi un contegno, si appoggiò di schiena al bancone e fece girare oziosamente
lo sguardo attorno; poi, con noncuranza, tornò a guardare l’uomo. Questi alzò
leggermente il suo bicchiere verso di lui; era un segnale, e Lyomin si avvicinò,
restando in piedi davanti a lui. Vide lo sguardo dell’uomo che lo esaminava
brutalmente, soffermandosi con insistenza sulle sue parti intime; mosse una
mano, ma non lo toccò. Finalmente fece cenno a Lyomin di sedersi al tavolo;
nessuno dei due aveva detto una sola parola.
-Quanti anni hai?
Diciassette?- gli chiese l’uomo, muovendogli il viso come fosse un cavallo.
-Ventuno- rispose
Lyomin, abituato a non usare troppe parole, con i Patrizi. -Non sono vergine-
aggiunse, poiché sapeva che la domanda sull’età mirava proprio a quello. Ai
Patrizi non piaceva prendersi amanti inesperti, in quei locali. La mano
dell’uomo intanto si era spostata molto più in basso, e Lyomin sentì un
inconsueto brivido attraversargli le gambe.
-Bene. Muoviti- gli
disse l’uomo, e si alzò, avviandosi all’uscita senza nemmeno aspettarlo.
Salì sulla macchina e accese il motore, mentre Lyomin saliva. Non gli aveva
chiesto come si chiamava e non gli aveva detto il suo nome, ma questa era una
cosa del tutto normale. Lyomin notò che l’uomo era solito consumare i suoi
rapporti in macchina, ma quella sera lo fece scendere davanti a casa sua.
Per tutto il
tragitto non avevano scambiato una parola. La tregua del locale era finita, e
Lyomin non poteva parlargli se non veniva interrogato.
Osservò l’uomo
che guidava; non era difficile, alla luce diffusa dai tanti lampioni. I capelli,
radi attorno alla testa, erano biondo grano, e gli occhi azzurro ghiaccio, come
lo erano gli occhi ed i capelli di tutti i Patrizi. Non era un uomo bello, ma
Lyomin cercava fin dall’inizio qualcuno che potesse mantenerlo come amante, e
certamente non pretendeva che lo amasse; d’altra parte nemmeno l’uomo
l’avrebbe permesso.
Non dissero una sola
parola, nemmeno quando l’uomo aprì la porta della camera da letto e lo lasciò
lì, allontanandosi. Lyomin tolse i pochi centimetri di stoffa che indossava e
si stese sul letto. L’uomo gli andò vicino e cominciò ad accarezzarlo, senza
incrociare il suo sguardo e senza passione, per eccitarsi. A sua volta Lyomin
cominciò ad accarezzarlo con mani esperte, sotto gli abiti che aveva ancora
addosso. All’improvviso l’uomo se li tolse e salì sopra il corpo di Lyomin,
muovendosi immemore di lui e di tutto il resto. Lyomin era stranamente eccitato;
non gli era mai capitato di desiderare così tanto il sesso, anche con persone
giovani ed attraenti; ma quella notte si sentì prendere dal gioco che il corpo
sopra di lui stava conducendo. Ansimando, l’uomo cominciò a muovere i
fianchi, e a toccargli le gambe, il fondoschiena, il petto sempre più forte,
sempre più dolorosamente; però, anche quel dolore gli piaceva, e lo
desiderava. Inarcò la schiena, piegò le gambe mentre l’uomo cercava di
penetrarlo, provando piacere come se fosse lui il padrone del gioco, e non il
giocattolo. Sentiva il sudore dell’uomo sulla sua pelle, il suo sesso dentro
di sé, e bruciava, avrebbe voluto gridare, ma la voce era come intrappolata
nella sua gola, e poteva soltanto gridare con le mani, che abbracciavano e
accarezzavano appassionatamente quel corpo sconosciuto.
Quando l’uomo cessò
di spingere, rimase ansimante disteso su Lyomin. Anche Lyomin ansimava. Gli era
sempre piaciuta la sensazione di un corpo pesante sopra di lui, che voleva
prenderlo, e forse era per questo che preferiva gli uomini. Gli piaceva da
morire, ma non gli era mai piaciuto tanto come adesso. L’uomo, però, rimaneva
sopra di lui e dentro di lui, e dopo un po’ cominciò ad avvertire un certo
fastidio, che si trasformò presto in dolore, e quel dolore non gli piaceva più
tanto. Cercò di muoversi leggermente, sperando che l’uomo capisse, ma questi
restò nella sua posizione. Non voleva contrariare il suo nuovo amante, non
voleva compromettere quell’affare, e l’uomo avrebbe fatto presto a sbatterlo
fuori, se l’avesse fatto arrabbiate. Per questo cercava di tacere, mentre le
fitte si facevano sempre più brucianti.
- Mi fai male. Per
favore…- gemette alla fine, sottovoce, quando stava per esplodere. L’uomo
aprì improvvisamente gli occhi, e lo guardò come se lo vedesse per la prima
volta. Lyomin vide con terrore la furia montare in quello sguardo, e non fu
preparato a ricevere il colpo che quasi lo stordì. L’uomo cominciò a
colpirlo con una forza straordinaria, mentre lui cercava di farsi scudo con le
mani.
- Come ti permetti!
Puttana!- gli gridava l’uomo. – Maledetto cane, fottuto…- continuò ad
insultarlo, mentre gli premeva dolorosamente il viso contro il cuscino,
colpendolo anche con calci e pugni nella schiena. Lyomin sentiva il sangue
scendergli dal naso e dalle guance, e si sforzò di non piangere; era abituato a
sfuriate di quel genere perché non riusciva, non riusciva a mantenere il
rispetto fino in fondo, e trovava sempre un modo per far incollerire i suoi
clienti: aprendo la bocca…
L’uomo adesso era
cavalcioni sopra di lui, e gli premeva ancora il viso nel cuscino.
- Vediamo se adesso
hai ancora voglia di parlare…- gridò, mentre lo stuprava il più
violentemente possibile. Lyomin pianse: non gli piaceva più, adesso, e non si
sentiva più padrone del gioco. Alla fine l’uomo si distese nell’altro lato
del letto.
- Sei contento,
Faccia d’angelo, adesso, eh? Oh, cazzo, mi hai sporcato il cuscino… brutta
troia!- lo insultò di nuovo, ma non lo colpì. Lyomin giacque tutta la notte
rannicchiato su se stesso, mentre la rabbia impotente gli cresceva dentro e le
lacrime lo abbandonavano. Aveva pianto perché si era spaventato, ma ormai era
abituato alle violenze. I Patrizi scendevano nella Città Inferiore, sceglievano
i ragazzini e le ragazzine che avevano l’età giusta e li violentavano, per
poi gettarli in pasto dei clienti della Città Superiore. Tutti quelli che
battevano di notte erano abituati ad essere picchiati e stuprati, e nessuno di
loro ci faceva più caso. Però adesso avrebbe dovuto continuare a girare per i
vicoli, perché quell’uomo di sicuro non l’avrebbe tenuto. Non gli era
sembrato uno dei più tolleranti.
La mattina l’uomo
lo svegliò scuotendolo senza tanti complimenti, e, dopo averlo insultato ancora
per il sangue sul cuscino, lo fece entrare nella doccia.
- Datti una pulita e
poi vestiti, e vedi di sbrigarti!-.
Era raro che un
Patrizio concedesse a una puttana di usare il suo bagno, perciò Lyomin ne
approfittò per godersi una doccia vera, una volta tanto. Poi uscì, si asciugò
ed indossò gli stessi stracci del giorno prima. Era quasi certo che l’uomo
l’avrebbe cacciato via.
-Vieni con me. E
stai zitto-.
L’uomo lo fece
salire sulla macchina, ma Lyomin notò che non stavano andando verso la
periferia. L’uomo si fermò in un elegante quartiere residenziale dove
sorgevano maestose ville di un sacco di piani. Suonò ad una di quelle. Lyomin
moriva dalla voglia di chiedergli che cosa avrebbero fatto lì, e l’uomo lo
notò.
- Che vuoi? Avanti,
parla-.
- Che cosa ci
facciamo qui?- chiese.
- Qui abita un mio
amico. Tu sei il suo regalo di compleanno al figlio-.
Lyomin tacque,
stupito. Dopo la notte passata, si chiedeva come quell’uomo potesse darlo ad
un altro per suo figlio.
- Qui usano la
frusta. Ho visto che sai scopare, perciò anche se parli a vanvera qui ti
mettono al tuo posto. Credi che mi freghi tanto di te?-. L’uomo aveva parlato
di sua volontà, ed in quel momento arrivò alla porta il padrone di casa,
chiamato dal portiere. Come tutti i Patrizi, anch’egli aveva i capelli color
grano e gli occhi azzurri; il portiere invece era un Inferiore, aveva la pelle
scura ed i capelli crespi.
- Come vedi, ti ho
portato quello che volevi. Non è uno splendido esemplare?-
L’altro annuì, e
lo esaminò, interessato.
- E tu l’hai
provato?- chiese all’amico.
- Naturalmente. E
per tuo figlio non puoi trovare di meglio. È… come posso dire…-
L’altro lo fece
tacere con un gesto della mano, annuendo.
- Sta’ attento-
continuò però l’uomo - ha il vizio di aprire un po’ troppo la bocca. Se ti
dà fastidio, ti consiglio di tagliargli la lingua. Ma tu starai zitto, non è
vero, Faccia d’angelo?-
Lyomin annuì piano,
infastidito dallo sguardo sgradevole dell’altro uomo che lo scrutava come se
fosse una cosa strana e inconsueta.
- Sono sicuro che a
Kes piacerà. Mi ha dato un’ampia dimostrazione, eh, Faccia d’angelo?- disse
l’uomo prendendogli il viso tra due dita. Lyomin si scostò istintivamente.
- Fai il ritroso,
eh? Ma con Keres non succederà, vedrai, ha un culetto che…- l’uomo tacque
improvvisamente, ed arrossì. Il padre di Keres lo stava guardando di traverso.
- Ha già mangiato?-
chiese quest’ultimo all’uomo, senza degnare Lyomin di un solo sguardo.
- Se fosse per me,
lo lascerei ancora un po’ a digiuno, così potrà meditare-.
L’altro uomo non
gli diede retta, chiamò un servitore, un Inferiore, che guardò Lyomin con
occhi tristi mentre lo conduceva in una piccola stanzetta con una tavola
apparecchiata. Lyomin si accorse in quel momento di essere divorato dalla fame.
L’uomo a cui era stato ceduto gli aveva detto anche di cambiarsi.
“Probabilmente è
abituato a persone molto più fini, qui dentro”, pensò Lyomin, vergognandosi
per l’abito che lo scopriva. Non era
nulla di neanche lontanamente sexy o anche solo piacevole. Era volgare, e basta;
brutto tanto da vedere quanto da indossare; ma era un modo, come gli avevano
detto una volta, per “mostrare la merce”. Si sentì meglio dopo aver
indossato abiti puliti; anche quelli non erano il massimo dell’eleganza, anzi
erano piuttosto dozzinali, ma non era il caso di fare lo schizzinoso.
Quando ebbe
mangiato, aspettò un po’, poi si azzardò ad aprire la porta. In fondo al
corridoio vedeva il suo amante della notte scorsa nell’ingresso, insieme al
padrone di casa. Vide che stavano contando parecchi biglietti di banca, che poi
il primo si cacciò in tasca. Non avrebbe visto nemmeno uno di quei biglietti;
gli Inferiori erano semplicemente proprietà dei Patrizi, e chi ne prendeva uno
poteva farsene quello che voleva; a volte alcuni Patrizi rifiutavano di pagare
gli Inferiori per i rapporti occasionali.
Dopo aver concluso
la transazione, il padrone di casa in persona venne ad esaminarlo; doveva averlo
giudicato di suo gradimento, perché, con un cenno e con una strana espressione
di disgusto in faccia si fece seguire in un appartamento da qualche parte in
quella immensa casa, dove c’erano divani, poltrone, cuscini di ogni foggia e
dimensione, e letti di molti tipi, alcuni nascosti dietro tende, paraventi, o su
piedistalli, e dietro un altro leggero tendaggio si vedeva un piccolo
spogliatoio ed una piscina vuota. Lyomin fu fatto sedere su un divano, con la
libertà di muoversi come preferiva, in quella che aveva subito ribattezzato
come “ la stanza di giochi”.
“Giochi per
bambini un po’ cresciuti” completò poi tra sé e sé quando il padrone se
ne fu andato, dopo avergli detto che suo figlio l’avrebbe raggiunto dopo cena,
lasciandolo così un’intera giornata tutto solo lì dentro.
Lyomin cominciò
subito a guardarsi attorno. Quella stanza era più grande dell’intero piano
dove si trovava il suo appartamento, cioè lo stanzone che condivideva con altri
sei o sette ragazzi della sua età. L’arredamento e le suppellettili la
dividevano in zone ideali con un tema ben definito; c’era la camera orientale,
quella che sembrava un bungalow nella giungla, quella rinascimentale, persino
una versione extra-lusso di una caverna preistorica, il letto con la coperta
rossa e quello coi lenzuoli di seta nera; la piscina era circondata di fiori
tropicali dal profumo penetrante: se apriva i rubinetti ne usciva acqua
deliziosamente calda e leggermente profumata, mentre da pannelli nascosti
piovevano petali di rose. Le pareti dissimulavano abilmente armadi con ogni
genere di oggetto che poteva servire per “giocare”; chissà se il signorino
amava quel genere di cose o se erano lì nel caso gliene fosse venuta voglia;
chissà se lì erano passati altri amanti, o se lui gli veniva regalato per
iniziarlo.
Nel suo peregrinare
capitò in un letto che aveva sopra, sul soffitto, un grande specchio, non aveva
mai visto una cosa del genere; avrebbe voluto vedere, però, quello che
succedeva sopra di lui mentre faceva sesso col suo amante; si distese su quel
letto, e si guardò: era molto bello, certo, aveva due occhi, due braccia, due
gambe; però aveva gli occhi verdi ed i capelli neri. Nella città di Temno non
c’era crimine maggiore che questa violazione alla “prima direttiva”: cioè
che chi non ha i capelli biondi e gli occhi color del cielo è un Inferiore, e
come tale può svolgere soltanto un tipo di servizio alla società: servire
sempre, e senza esclusioni, gli appartenenti alla Razza Superiore, i Patrizi; o
forse c’era un crimine maggiore: quello di rivolgere la parola per primi ad un
Patrizio o guardarlo negli occhi, o ancora sottrarsi a lui o rifiutargli
qualcosa, o invece pretendere qualcosa da uno di loro. A volte ai Patrizi piaceva
punire gli Inferiori, e allora sapevano essere terribilmente crudeli; certo,
c’erano anche persone che li rispettavano, ma questi erano una quantità
infima, e infatti nella sua vita non ne aveva mai incontrato nessuno; se c’era
qualcosa che poteva screditare un Patrizio agli occhi degli altri era la
gentilezza, o meglio l’umanità
verso un Inferiore.
Lyomin si guardò
ancora allo specchio. Per lui quel posto, quel momento erano straordinari: non
aveva conosciuto mai un attimo di tregua, si può dire dall’età della
ragione, in cui la necessità di compiacere il desiderio sessuale di un Patrizio
non fosse stato impellente; per la prima volta non aveva fame, non aveva freddo
e non aveva bisogno dei soldi di un cliente per arrivare alla notte successiva.
Rifletté; probabilmente anche lui era figlio di un Patrizio, come la stragrande
maggioranza dei figli delle Inferiori. Ai Patrizi non interessava affatto la
sorte dei figli avuti dalle loro schiave; d’altra parte, erano Inferiori
anch’essi. Non si sapeva di figli Patrizi nati da un’inferiore; i Patrizi
facevano figli alti e biondi solo con le proprie mogli, anche se il contatto
fisico fra coniugi era considerato una delle cose più ripugnanti della vita;
un’altra era portare un figlio in grembo. Per questo gli uomini Patrizi
ricorrevano alle giovani e bellissime schiave e le donne Patrizie agli splendidi
e aitanti stalloni Inferiori, e lasciavano i figli legittimi al concepimento in
provetta e agli uteri artificiali. A lui le donne Patrizie erano sempre sembrate
matrone romane, che adoravano circondarsi, ancora più degli uomini, di decine
di maschi belli e capaci che potessero soddisfarle. Anche lui aveva sfiorato
quella possibilità, anni prima, ma poi era stato giudicato troppo magro per
sostenere la parte. Adesso aveva la prestanza adatta, e forse adesso sarebbe
stato in uno di quegli harem se avesse scelto un altro tipo di locale; invece
era diventato il regalo di compleanno di un verginello che probabilmente
l’avrebbe presto gettato in un angolo come un giocattolo vecchio.
“ Be’, a questo
posso rimediare, posso fare in modo che non mi getti via…” pensò Lyomin non
senza malizia. Cercò di immaginarsi il suo padroncino; il padre sembrava un
uomo ancora attraente, perciò forse il figlio lo sarebbe stato altrettanto; però
non sapere la sua età limitava alquanto la sua immaginazione.
A mezzogiorno gli
servirono il pranzo, durante il pomeriggio scelse una tazza di cioccolata, e
sperò di poterla gustare di nuovo molto presto, e a sera gli portarono la cena.
Attese ancora un po’, e finalmente un servitore portò un grosso vassoio di
paste salate, ma gli ordinò di non toccarlo finché fosse arrivato il
padroncino, che non avrebbe tardato molto. Infatti, di lì a poco, sentì lo
scorrere di un pannello segreto e vide il giovane.
Aveva una figura
stupenda. Non aveva mai visto un viso il cui l’oro e l’azzurro si
combinassero così splendidamente, con quella dolcezza. I capelli lucenti, le
lunghe ciglia di seta, il rosa delle guance e il tenue colore delle labbra
piene: Lyomin restò incantato un attimo ad osservarlo, finché l’apparizione
non afferrò prosaicamente una tartina dal vassoio; allora Lyomin riprese
coscienza del proprio ruolo, ma aspettò.
Il ragazzo l’aveva
osservato intensamente a sua volta, poi si era chinato a scostargli una ciocca
di capelli dal volto: Lyomin aveva sentito per un istante il lieve profumo che
emanava. Si vergognò degli abiti che portava – anche se non erano quelli
della notte prima-, ed invidiò la lunga tunica di seta azzurra bordata d’oro,
dalle maniche ampie, che il giovane portava.
- Ciao- disse
quest’ultimo, intimidito. Lyomin rispose con un cenno della testa, ben attento
ad evitare i suoi occhi. Il ragazzo si guardò intorno nervosamente.
- Non mi piace qui.
Vieni nella mia stanza- gli disse, tendendogli la mano. Lyomin la prese e si
lasciò condurre attraverso il passaggio segreto in una camera più piccola, in
cui c’erano uno scrittoio, due poltrone ed un letto bianco con un baldacchino.
Il giovane vi si sedette; Lyomin rimase in piedi.
- Mio padre ha
insistito per regalarmi quella camera, ma a me non piace, sai… Come ti
chiami?-
A Lyomin piaceva
giocare sul filo del rasoio. Era più forte di lui, gli piaceva provocare il
Patrizio di turno ed arrivare al punto di rottura; forse, in fondo, gli piaceva
essere insultato e picchiato. Perciò non rispose, guardando altrove.
- Io sono Keres.
Kes. Qual è il tuo nome?-
Di nuovo Lyomin non
rispose; però sedette accanto al ragazzo, guardandolo intensamente negli occhi,
e accarezzandogli le gambe, poi si distese di traverso vicino a lui, come fosse
il padrone; aspettò la reazione di Kes, ma questi lo lasciò spiazzato: si
stese accanto lui, prese il suo braccio e lo passò dietro le spalle,
avvicinandosi a lui; il suo sguardo diceva “non me ne frega niente delle
regole”; in un attimo, la sua bocca baciò quella di Lyomin e si ritirò.
- Come ti chiami?-
ripeté con dolcezza.
Per Lyomin quella
dolcezza era del tutto inconsueta. Il giovane l’aveva quasi totalmente
disarmato.
- Faccia d’angelo-
disse.
Kes rise. –Faccia
d’angelo è bellissimo… e perfetto. Qual è il tuo vero nome?-.
-Lyomin- continuò
Lyomin. La gentilezza di Kes continuava a rapirlo e a confonderlo. Cominciò a
giocherellare con i suoi capelli senza rendersene conto.
- Lyo- disse Kes.
– Mi piaci, anche se mio padre dice che ti ha trovato quel viscido del suo
amico. Non fa altro che cercare di mettermi le mani addosso-.
- Davvero?- Lyo
adesso non temeva più di parlare, anche se da qualche parte della sua testa
voleva ancora vedere fin dove Kes avrebbe resistito. – Quanti anni fai?-
- Diciotto. Mio
padre ha pensato che non mi poteva regalare una stanza come quella e lasciarla
vuota… ma è assolutamente orribile-.
Lyo rise. Il ragazzo
rimase fermo per un po’, incerto sul da farsi. Lyo pensava che non doveva
essere vergine, a quell’età; forse era solo molto timido.
- Aspetta- disse Kes
improvvisamente, alzandosi – vado a prendere il vassoio- ed uscì,
strizzandogli l’occhio. Era incredibile: i Patrizi, se dovevano fare una cosa,
istintivamente cercavano l’Inferiore più vicino per farla fare a lui, ma era
evidente che a Kes non era nemmeno passato per la testa.
Rapidamente, Lyo si
spogliò, e rimase nudo ad aspettarlo sul letto. Quando Kes rientrò, prima
impallidì, poi distolse lo sguardo ed arrossì, voltandosi dall’altra parte
mentre posava il vassoio.
- O mio dio…-
gemette piano, boccheggiando. Coprendosi il volto con una mano, afferrò una
vestaglia e gliela porse. – Mettila, ti… ti prego…-
Lyo sospirò. I
verginelli non gli piacevano molto, specialmente così anziani. Forse aveva
qualche terribile malattia che faceva morire all’istante tutti quelli che lo
guardavano…
Infilò la vestaglia
e rimase steso sul letto. Kes si sedette vicino a lui, sorridendogli
nervosamente. Con delicatezza, Lyo lo tirò verso di sé e lo fece stendere di
nuovo accanto a sé. Lo tenne vicino, e si accorse che la sua performance di
poco prima l’aveva eccitato, e che adesso era combattuto fra quel desiderio e
l’imbarazzo che provava.
Lyo lo guardò con
uno sguardo molto provocante.
- Allora, come ti
piace farlo?- chiese, divertendosi del suo imbarazzo.
- Io…ehm… non
l’ho… non l’ho mai fatto… con un uomo- rispose Kes, arrossendo. Poi, lo
sguardo di scherno di Lyo lo fece sorridere di se stesso. – Ho… sono stato
con delle donne, ma… gli uomini mi attraggono di più… sai…-
- Ed il tuo paparino
ha pensato di accontentarti, no?-
Kes annuì,
sorridendo. Alzò le spalle, con uno sguardo d’attesa.
- Be’, e a te,
come piace?- gli chiese.
- Non deve piacere a
me- rispose Lyo, nascondendo un brivido. Kes gli aveva scoperto le spalle e
aveva cominciato a baciargli la pelle. Ecco, quello
gli piaceva, e lui lo sapeva, forse lo sentiva istintivamente.
- Dimmelo-.
- A me… a me piace
che qualcuno mi stia sopra… e mi accarezzi, e… potrei…insegnartelo…-
rispose a bassa voce, improvvisamente conscio del pulsare del proprio corpo. Kes
accanto a lui gemette, come se rispondesse ad una carezza intima.
- Insegnamelo,
allora, ti prego- disse piano.
- Non… non posso
con questi… vestiti addosso- rispose Lyo toccandogli la tunica di seta.
- Allora… allora
li toglieremo- Kes si sollevò leggermente mentre Lyo gli slacciava l’abito e
glielo sfilava. Immediatamente dopo la sua mano corse agli slip. Ma lo sguardo
di Kes lo fermò. Il suo imbarazzo lo inteneriva profondamente. Quella barriera
non avrebbe impedito comunque ai loro corpi di unirsi, ma forse Kes non si
voleva sentire troppo…indifeso mentre Lyo era ancora vestito. Rapidamente,
anche la sua vestaglia scomparve.
Kes salì sopra di
lui. Il suo sguardo era impaurito, e stava aspettando che Lyo gli dicesse
qualcosa. Questi gli passò le mani sulla schiena.
- Non preoccuparti.
Fa’ finta che io sia una donna…-
- No! È del tutto
diverso, tu… non sei una donna… mio dio, no… lo capisco, questo, sai!-
- E… che cosa
avrei di diverso da…ah… una donna?- Lyo gemette e mosse i fianchi. Kes lo
stava toccando molto intimamente, per dimostrargli di sapere la differenza fra
lui ed una donna. Per Lyo fu più facile del solito abbandonarsi alle carezze.
Kes si muoveva sopra
di lui. Il sudore faceva aderire i suoi capelli alla fronte. Le loro gambe si
intrecciavano continuamente per prolungare il più possibile il contatto; ogni
muscolo del loro corpo anelava a toccare l’altro. All’improvviso, Kes si
bloccò. Lyo sentiva il suo corpo scottare, e come al rallentatore vide i suoi
occhi splendidi scendere verso di lui e chiudersi, mentre le sue labbra si
posarono sulle sue. Lyo rimase interdetto, ma la lingua di Kes riuscì a violare
la barriera delle sue labbra chiuse, e si abbandonò anch’egli al bacio: fu
come bere tutto d’un fiato un liquore molto forte; era stordito, quando Kes si
separò da lui. Il giovane si distese prono accanto a Lyo, e, passandogli una
mano sul petto, gli sussurrò: - Prendimi-.
Il corpo che Kes gli
offriva era stupendo. Lo stava guardando con un viso carico di aspettativa, come
se attendesse di riscuotere il credito di piacere che gli aveva dato. Lyo lo
accarezzò piano, per aumentare la tensione, poi lo prese. Si accorse di non
aver mai desiderato qualcos’altro con la stessa intensità, poi precipitò in
un vortice in cui c’era solo la pelle bianca e gli occhi estatici di Kes, e la
sua bocca e l’intreccio dei loro capelli sul cuscino bianco.
Quando tornò in sé,
stava accarezzando il corpo madido di Kes. Gli occhi del ragazzo erano arrossati
e lucidi, ma sulle sue labbra c’era un sorriso squisito. Lyo baciò quel
sorriso. Il corpo di Kes sussultava leggermente sotto le sue dita; nel delirio
dei sensi, ricordava di averlo sentito gridare.
- E’ stato
bellissimo- disse Kes con un sorriso sincero; però, Lyo intuì nei suoi occhi
un desiderio che si era appena acceso.
- Davvero?- disse a
sua volta. – Vuoi… continuare?-
Kes arrossì. Per
tutta risposta, si infilò sotto le lenzuola. – Vieni qui-.
Lyo invece si alzò,
prese il vassoio sulla scrivania e glielo mise in grembo. Poi lo raggiunse sotto
le lenzuola, e rimase ad osservarlo poggiato su un gomito mentre Kes si serviva.
Questi si girò verso di lui e gli porse una tartina, Lyo la mangiò dalle sue
mani, e si lasciò imboccare, trattenendo fra le labbra le punte delle dita,
quando riusciva ad afferrarle. Poi Kes mise via il vassoio e si rannicchiò
accanto a lui, senza toccarlo.
- Avanti,
abbracciami-, disse Lyo mettendosi le sue braccia attorno alla vita, incapace di
resistere ancora senza il contatto con la sua pelle. Gli accarezzò le gambe con
le sue, ma Kes non voleva più fare l’amore. Restarono abbracciati a lungo
prima che Lyo si accorse del respiro regolare sul suo petto di Kes, che si era
addormentato. Quel ragazzo in una sola notte gli aveva dato cose che gli altri
suoi amanti non gli avevano dato mai. Il sesso era sempre stato piacevole, ma
mai come quella notte: non era mai stato quella tempesta di emozioni e di
piacere che gli aveva regalato il corpo di Kes, un ragazzino inesperto che
l’aveva fatto sentire… felice, sì, felice come nessun altro era stato
capace di renderlo. Erano la sua bellezza e la sua dolcezza che gli facevano
quell’effetto. Aveva conosciuto una tregua dal mondo che era abituato a
vivere, una tregua che forse sarebbe durata a lungo. Non avrebbe più voluto
lasciare Kes. Intrecciò le mani sulla schiena del ragazzo e si addormentò,
sognando il cielo dei suoi occhi e l’oro dei suoi capelli.
Quando si svegliò,
doveva essere già giorno da un pezzo; Kes non era accanto a lui, ma poco dopo
sentì i suoi passi che si avvicinavano dal passaggio segreto; si rimise fra le
coperte e finse di dormire.
Kes entrò con un
vassoio carico in mano; aveva dovuto quasi litigare con il cuoco, perché
pretendeva di avere la colazione alle undici e mezzo; ma poi suo padre, con uno
sguardo di divertita condiscendenza – “immagino quel che hai fatto
stanotte” diceva quello sguardo, e a Kes non piaceva molto-, aveva ordinato al
cuoco di obbedirgli. Kes posò il vassoio e si avvicinò a Lyo.
- Ehi- lo chiamò
piano – Svegliati, dormiglione- disse, poi si accostò alle sue labbra e lo
baciò dolcemente. Sentì il tremito delle ciglia di Lyo, che aprì gli occhi e
gli sorrise.
- Ben svegliato- gli
disse Kes, e gli porse il vassoio. Lyo gli circondò le spalle con le braccia e
gli baciò il collo.
- Ti ho sognato,
stanotte- disse Kes, porgendoli una tazza.
- Anche io,
bellezza-.
- Davvero? Sono
contento, io…-
In quel momento
udirono bussare.
- Kes, posso
entrare? Oh…-
Il padre di Kes era
entrato ed era ammutolito, vedendo Lyo nel letto del figlio e Kes fra le sue
braccia.
- Puoi venire un
attimo qui?-
Kes intuiva il
risentimento del padre. Probabilmente era venuto nella sua stanza per farsi
raccontare quello che aveva fatto quella notte, com’era quell’Inferiore che
gli aveva portato, e l’ultima cosa che si aspettava era di vedere quello
stesso Inferiore nel letto di suo figlio in un contatto che non era di natura
sessuale. Per molti Patrizi le stanze da letto private erano luoghi da non
contaminare, ed infatti quasi tutti avevano stanze “particolari” per il
sesso.
- Che succede?- gli
chiese suo padre. – Perché si trova lì dentro? Ti ho dato una stanza che…-
- Te l’ho già
detto, quella stanza…- Kes tacque all’improvviso, vedendo Lyo che infilava
la vestaglia ed entrava nell’altra camera.
- Lyo, che fai?- gli
chiese Kes, mentre lo seguiva.
- Perché non dici a
tuo padre come ti è piaciuta la piscina? E quell’altro letto con lo specchio,
là in fondo? Mi spiace solo di averti bagnato gli abiti, e averti costretto a
tornare in camera…-
- Già, non avevamo
portato nulla per asciugarci, e siamo dovuti…-
- Mi spiace aver
dovuto usare il tuo letto-.
- Oh, è stato lo
stesso… fantastico- disse con un sorriso Kes, dimenticandosi per un attimo
della presenza del padre.
- L’avete fatto
nella piscina?-
Lyo sorrise
obliquamente a Kes.
- Oh, sì, e anche
in quel letto…laggiù, quello con… lo specchio- rispose quest’ultimo.
- Ah, allora…
scusa per averti aggredito, Kes. Preparati, tra poco mi devi accompagnare-.
Il padre si allontanò,
rasserenato. Per fortuna, aveva frainteso: suo figlio non stava diventando amico
di quell’Inferiore. Kes sorrise a Lyo.
- Grazie. Lui non
avrebbe mai capito…-
- Che c’è da
capire?-
- Be’, che io…
che io non ti disprezzo-.
- Te ne sono grato-
disse sinceramente Lyo, baciandolo. – Devi andare via?-
- Faccio da
assistente a mio padre. A lui non piacerebbe se restassi con te tutto il giorno.
Anche se io… vorrei-.
- Quando torni?-
- Per cena, ma dovrò
mangiare con i miei. Dopo, verrò da te-.
Lyo sospirò, e si
staccò da Kes, un po’ risentito; ma nessun Patrizio si sognava di rimanere
tutto il giorno con il suo bambolotto, se non per sottoporsi ad un certo tipo di
maratone. Kes non era ancora andato via e Lyo già ne sentiva la mancanza.
Sarebbero stati bene, se Kes fosse rimasto; avrebbero potuto parlare, e
conoscersi, cosa che entrambi desideravano intensamente.
- Non chiuderò a
chiave la stanza, tanto ci sono soltanto i servi, in giro. Vai pure dove vuoi;
mi spiace non rimanere-.
- Vai pure, me la
caverò. Anche se… mi annoierò a morte, lo sai-.
Se avesse avuto un
altro amante – quello che l’aveva portato a Kes, per esempio- i suoi periodi
di assenza sarebbero state delle piacevoli e salutari tregue; ma Kes… il
giovane lo lasciò dopo un lungo bacio da cui si staccarono con difficoltà.
Lyo sedette sul
divano, a guardare la parete, per un bel pezzo dopo che Kes se ne fu andato; poi
cominciò a sentire il bisogno di indossare qualcosa per girare la casa; la
vestaglia gli dava fastidio. I suoi abiti erano in camera di Kes, perciò prese
il passaggio segreto; per magia, i resti della colazione e della notte passata
erano scomparsi. Sul letto però c’era un pacco legato con un nastro. Lyo non
resistette alla tentazione, e, guardando il biglietto, vide che c’era il suo
nome.
“Fa’ finta che
sia io ad avvolgerti. Kes” c’era scritto. Con mani impazienti lacerò la
carta e trovò una tunica identica a quella che Kes indossava e che la sera
prima gli aveva invidiato. La indossò immediatamente, poi uscì con fare
furtivo per i corridoi; arrivò all’ingresso, l’unico luogo che riconobbe, e
si mosse da lì a caso; infine tornò nella camera di Kes e si stupì di quanti
libri, di quanti film e quanta musica avesse. In quella stanza c’erano cose di
cui lui non immaginava nemmeno l’esistenza; se Kes fosse stato lì avrebbe
passato il pomeriggio a farsi spiegare tutte le cose nuove che aveva trovato lì.
Quando Kes tornò,
dopo la cena, lo trovò in poltrona, sprofondato nella lettura di un libro. Lyo
lo chiuse non appena lo sentì entrare.
- Ciao. Che cosa
leggi?-
Lyo gli mostrò la
copertina. – Il mago di Oz. Sto cercando anch’io un cuore, come l’uomo di
latta-.
- Ah- disse Kes,
prendendo in mano il libro. – Io vorrei trovare la strada di casa… dovunque
sia-.
Lyo lo guardò con
tenerezza. Anche lui aveva l’aria di aver contato i secondi che lo separavano
dal loro incontro. Kes parve leggergli nel pensiero.
- E’ stata la
giornata più lunga della mia vita- sospirò. – Il tempo non passava mai…
cos’hai fatto senza di me, tesoruccio?-
- Fondamentalmente
mi sono annoiato. Ah, grazie. Il tuo regalo mi ha fatto molto piacere-.
- Sapevo che ti
sarebbe piaciuto. Quegli altri stracci erano indecenti, disgustosi-.
Lyo alzò le spalle.
Si alzò e si diresse verso il paravento che nascondeva la piscina. Soltanto
allora Kes si accorse che era già piena d‘acqua fumante, ed il profumo delle
rose si spandeva lì attorno.
- Che significa?-
- Be’, ieri
l’abbiamo fatto qui, perciò oggi… dovremmo ripetere l’impresa-.
- Oh… tu mi leggi
nel pensiero…-.
Kes si immerse per
primo. Osservò la tunica di Lyo che scivolava a terra, scoprendolo, e le sue
movenze sensuali mentre scendeva i pochi gradini verso di lui. L’acqua
amplificava le loro sensazioni, e mentre facevano l’amore Lyo ebbe paura di
non riuscire più a ritornare dal limbo dov’era precipitato.
Si asciugarono su
uno dei letti della stanza dei giochi, poi però Kes volle andare in camera sua.
Chiuse a chiave entrambe le porte, perché sospettava che suo padre sarebbe
salito a controllare in quale letto stava dormendo Lyo. Stettero abbracciati per
un po’, sul letto, e nessuno dei due disse niente.
- Domani resto con
te- annunciò Kes.
Lyo alzò un
sopracciglio. – Ah sì? E tuo padre?-
- Gli ho detto
che… be’, sono ansioso di esplorare fino in fondo le tue potenzialità, non
so se mi spiego-.
- Ed è vero?-
- Mi piace fare
l’amore, però mi piace anche abbracciarti e parlare-.
- Attento, è un
brutto segno. I Patrizi non devono entrare in confidenza con gli Inferiori,
specialmente se sono quelli che si portano a letto. È troppo pericoloso-.
- E perché?
Potremmo accorgerci che gli Inferiori… che voi
siete persone? Persone e non bestie?-
Lyo non trovò di
che rispondere. Era la prima volta che sentiva le parole “Inferiore” e
“persona” in una frase non spregiativa, e gli fecero un certo effetto. Era
quasi come se se ne rendesse conto anche lui per la prima volta, di essere una
persona. Forse non c’era nessun Inferiore che lo pensava, i Patrizi erano
tanto bravi a far loro credere il contrario…e cioè che erano solo animali
senza valore. Lui invece aveva valore per Kes. E lo conosceva da meno di due
giorni.
- Sei bellissimo-
disse Lyo, ed era sincero. Era il suo modo per dirgli che anche lui cominciava
ad affezionarglisi.
- Mmm… non è
vero. Io sono… sono uguale a tutti gli altri-.
- Ma sei più bello.
Il tuo viso è il più bello di tutti-.
- No. Vorrei avere
gli occhi neri, sai…-.
- Oh, no! E perché?
Tu sei un Patrizio, hai gli occhi blu, e…-
- Tutti
hanno gli occhi blu. Non c’è, come dire… non c’è scelta. Non c’è
nemmeno il gusto della sorpresa. Forse è per questo che andiamo con gli
Inferiori… per avere un po’ di varietà-.
Lyo rise; era così
bello quando sorrideva, pensò Kes, con un misto d’inquietudine e contentezza
nel cuore. Poi però Lyo tornò serio.
- I Patrizi non
fanno sesso fra loro, vero? Non esistono… coppie di uomini o donne?-
Kes scosse la testa.
– I rapporti fra Patrizi sono dettati principalmente da alleanze nobiliari od
economiche… per soddisfare la propria natura ci sono gli Inferiori… quelli
che scaldano i nostri letti e partoriscono i nostri figli. Se…se mi dovessi
sposare, andrei in una clinica e ne uscirei con un figlio già bell’e fatto, e
non saprei nemmeno che cosa è successo… come è successo-.
Kes aveva un tono
amaro. Era evidente che aveva rimuginato spesso su quelle cose, che adesso
sputava fuori per la prima volta, paradossalmente, con una persona a cui non era
tenuto nemmeno a rivolgere la parola.
- Lo… lo sai che
cosa penso?- continuò, ben deciso a sfogarsi, finalmente. Stava parlando con un
nodo alla gola. – In quelle cliniche nessuno sa cosa fanno… ho studiato, un
po’, e forse… forse loro fanno in modo che noi nasciamo in un modo e voi
nell’altro. Forse, forse loro lo
fanno apposta…-
Kes scoppiò in
lacrime. L’ingiustizia del mondo in cui viveva lo tormentava, anche se
quell’ingiustizia era favorevole per lui. Però… dovevano esserci pochissimi
Patrizi che avevano queste idee, ed il padre di Kes –con i suoi amici- non
doveva essere di quest’opinione.
- Come ti vengono in
mente queste cose, Kes? Tu sei un Patrizio, hai tutto quello che puoi volere…-
- Io non voglio
questo. Non voglio avere un figlio senza amore, e vivere senza amore per il
resto della mia vita. Non devo innamorarmi di mia moglie e non posso innamorarmi
di te…e allora che devo fare? Noi… noi cerchiamo un modo per cambiare tutto
questo, per fare qualcosa di giusto-.
Kes gli confidò che
quel “noi” era un’associazione segreta che era nata un paio d’anni prima
lì a Temno, che contava pochi membri che però andavano sempre più aumentando,
e reclutava giovani di idee liberali. Kes era venuto in contatto con loro solo
uno o due mesi prima, ma le loro parole lo avevano subito infiammato. I membri
si muovevano con grande circospezione, nel segreto più assoluto, e le nuove
reclute erano spiate e controllate ancora prima che sapessero della sola
esistenza del gruppo. Era comprensibile: sarebbe bastata una sola parola, e
tutto sarebbe andato in pezzi. Kes gli promise che alla prossima riunione
l’avrebbe portato con lui.
Passarono i giorni;
Kes parlava sempre più spesso delle idee e dei sospetti della sua associazione
contro il potere dei Patrizi, e Lyo lo ascoltava perplesso, dubbioso che fosse
proprio un Patrizio a dirgli quelle cose, e a sostenere che la società andava
cambiata. A quanto ne sapeva lui, erano sempre quelli per cui la situazione era
sfavorevole a cominciare le rivoluzioni: quale privilegiato avrebbe voluto
abbattere i propri privilegi? Poi, però, rifletteva, e pensava che vi era anche
l’aiuto di persone illuminate… ma si domandava se Kes lo fosse, o non avesse
abbracciato quella causa solo perché infervorato dalla novità. Per lui,
cambiava poco o niente, anzi, Lyo non immaginava nemmeno come potesse essere un
mondo diverso, o meglio, che
cosa avrebbero fatto lui e quelli come lui. D’altra parte, era sempre stato
schiavo, e non rimpiangeva né sognava qualcosa di diverso: quella era la sua
situazione, la sua vita. Anche se essere trattato da essere umano era una
piacevole scoperta, e essere amato da Kes in quel modo che non aveva niente di
servile era stupendo.
Circa un mese più
tardi, Kes mantenne la promessa. Non dovette inventare una scusa molto grossa
con suo padre; anzi, questi era contento che si portasse Lyo in giro per la città,
dai suoi amici, in modo da sfoggiare la generosità di suo padre che gli aveva
regalato un amante così bello. Kes nascose la macchina in un parcheggio
sotterraneo a due isolati dalla loro destinazione, poi proseguirono a piedi,
cercando di evitare –cosa piuttosto difficile- i coni di luce dei lampioni, e
nascondendosi il più possibile al passaggio di ogni veicolo. Finalmente
giunsero ad un vicolo cieco; a terra, sul fondo, c’era una botola di un
tombino della città; Kes la spostò e fece scendere Lyo, poi, dando un’ultima
occhiata in giro, entrò anch’egli e si chiuse la botola alle spalle. Scesero
qualche gradino illuminato da una serie di incerte lampadine, ed arrivarono
davanti ad una porta; Kes compì una sequenza piuttosto complicata di battiti
sulla porta, e dopo un po’ gli fu aperto. L’uomo che stava dietro lanciò
un’occhiata a Lyo, e lo indicò col mento.
- Non ti
preoccupare, è a posto- disse Kes, ed entrarono.
L’interno era del
tutto simile ad uno di quei locali in cui era stato anche Lyo, dove si
acquistavano Inferiori; ai tavoli, però, erano seduti anche questi ultimi, che
parlavano e bevevano con estrema libertà. Alcune coppie, sempre miste,
ballavano alla musica soffusa, e altre si scambiavano effusioni sui divanetti in
fondo. Lyo fu piacevolmente impressionato; non avrebbe mai pensato di vedere un
locale in cui gli Inferiori erano vestiti decentemente e si comportavano
liberamente. Guardando meglio, vide che c’erano anche alcune coppie di
Patrizi, e questo lo sorprese ancora di più, ma non osò aprire bocca. Dietro
al banco c’era un tizio dai tratti orientali –ma biondo, e con gli occhi
azzurri- a cui non importava la razza della clientela. Forse non credeva nella
dottrina predicata dall’associazione, ma non faceva storie perché, visto che
anche gli Inferiori pagavano da bere, lui guadagnava il doppio.
Kes si sedette al
tavolo dell’uomo che aveva aperto, insieme ad un piccolo gruppo di Patrizi ed
Inferiori. Stavano proseguendo un discorso che Lyo non capì, ma a cui Kes
partecipò attivamente. Ad un certo punto, alcune persone si alzarono e si
diressero verso una porta in fondo alla sala, e rapidamente tutti quanto fecero
lo stesso. Kes prese per mano Lyo ed entrarono anche loro.
Il ragazzo di poco
prima era in piedi su una sorta di palco, e attendeva che tutti fossero seduti;
era il capo, e stava per iniziare un discorso.
Kes ascoltava con
grande fervore; Lyo perse rapidamente interesse per le parole dell’uomo, ma si
accorse di essere l’unico: tutti gli altri sembravano avere l’aria di
pendere dalle sue labbra.
-… e ora,
fratelli, l’annuncio che da molti mesi vi avevo promesso: finalmente, dopo una
ricerca meticolosa per tutte le città del mondo, abbiamo trovato i
collaboratori che potranno diffondere il nostro ideale in un raggio sempre più
vasto, fino a che non avremo convertito alla causa tutte le persone di buona
volontà: e allora non avremo più difficoltà, e sarà il Mondo Nuovo!-.
I nuovi adepti,
cinque o sei Patrizi, tutti molto giovani, come quelli che erano riuniti lì,
salirono sul palco accolti da un coro di “Viva il Mondo Nuovo! Per il Mondo
Nuovo”, e il capo li presentò all’assemblea; Lyo fu attirato da uno in
particolare, che aveva gli occhi obliqui, e le mani sgradevolmente magre.
- Allora, che ti è
sembrato? Finalmente l’associazione si diffonderà nel resto del mondo! Presto
saremo pronti per attuare il nostro progetto!-
Lyo sospettò che
Kes non avesse ben chiaro di che progetto si trattasse, ma si decise a parlare
delle sue perplessità.
- A me sembra strano
che un gruppo di Patrizi lotti per distruggere il gruppo dei Patrizi-.
- Tu non capisci lo
spirito… hai visto le persone nel locale? Il nostro scopo è poterci amare
liberamente, con chiunque vogliamo!-.
Lyo decise di non
discutere oltre. Kes gli parlò ancora a lungo dell’assemblea, ma era evidente
che più che altro era stato affascinato dalla personalità del capo, ed aveva
creduto di ravvisare nelle sue idee qualcosa che anch’egli sentiva
confusamente.
Un giorno, Kes tornò
prima dal lavoro. Aveva abbandonato suo padre nel bel mezzo di un colloquio
d’affari ed era scappato a rifugiarsi da Lyo. Quando lo vide, questi si
accorse che aveva gli occhi lucidi e che tratteneva le lacrime.
- Che succede?-
chiese mentre veniva travolto dall’impeto del suo abbraccio, e Kes
incominciava a piangere, affondando il viso nel suo petto.
- Lyo…Lyo…- fu
tutto ciò che Kes riuscì a dire; l’altro cercò di consolarlo, finché poco
a poco ci riuscì.
- Mi vuoi dire che
cos’hai?- gli chiese sollevandogli il viso. – Scommetto che hai piantato in
asso tuo padre…- cercò di scherzare, ma un gesto della mano di Kes lo
interruppe.
- Lyo, vogliono…
vogliono che mi sposi!-
Lyo sussultò
involontariamente. Il cuore prese a battergli all’impazzata, ma cercò di
restare lucido.
- E allora?- disse.
– Tanti Patrizi si sposano, e…-
- Ma io non voglio!
Lyo, non voglio!- singhiozzò di nuovo, cercando nel suo viso un segno di
comprensione.
- Ma perché?-
chiese, ostinatamente, Lyo.
- Perché… perché
io…- era difficile esprimere quello che sentiva, per Kes. – Perché io ho
te…-.
Il cuore di Lyo si
sciolse. Aveva cercato di rimanere freddo, di ripetersi che lui era solo un
amante, solo un giocattolo, ma sapere che Kes provava dell’affetto per lui lo
riempiva d’amore. Kes non l’aveva mai considerato un oggetto, ma cominciò
ad amarlo come un compagno, e a trattarlo di conseguenza. Si oppose recisamente
al progetto delle sue nozze, e contemporaneamente lui e Lyo cominciarono ad
essere più spregiudicati nel loro comportamento: Kes non chiudeva mai a chiave
la camera dei giochi, e Lyo girava per la casa anche quando il padre era
presente, rischiando di incontrarlo ad ogni angolo; Kes si sentiva più forte, e
in grado di tenere testa alla famiglia, finché, una settimana dopo, arrivò una
telefonata.
Kes vide che si
trattava di un membro dell’associazione, e, visto che stava leggendo sul
letto, mise il vivavoce. Lyo vide che mano a mano che la conversazione
proseguiva, lo sguardo di Kes era sempre più attento e preoccupato, e si
avvicinò.
-… quello che
veniva dal Nord… hanno preso solo lui, ma ricercano anche gli altri… la sede
è bruciata, e anche noi, se qualcuno parla…-
- Che succede?-
chiese Lyo.
Kes lo zittì con un
gesto.
- … tuo padre ha
quei palazzi… potresti nasconderceli… dacci le chiavi, ci penseremo noi, tu
non andrai di mezzo…-
- Io… non so…
non ho idea di dove tenga le chiavi… i cantieri sono fermi, però…-
- Kes, non puoi
lasciare il capo con le spalle scoperte… almeno finché…-
- Sta arrivando
qualcuno. Ci penserò-. Kes chiuse rapidamente la comunicazione, anche se la sua
scusa non era vera.
- Allora, che sta
succedendo?- volle chiedere di nuovo Lyo.
- Ci hanno traditi-.
Lyo trattenne il
fiato.
- Uno di quelli che
hanno presentato all’ultima riunione…era una talpa. Ha denunciato
l’associazione al governo, ma non hanno preso nessuno. Stanno cercando il
capo, e la sede è inutilizzabile. Hanno arrestato solo il padrone, ma lo
rilasceranno, e… mi hanno chiesto di nascondere il capo…-
- Lo farai?-
- Mio padre ha dei
cantieri in cui si potrebbe fare, ma… dovrei rubargli le chiavi, e…-
- Kes, non te la
senti? Se credi davvero in quello che dicono, dovresti farlo…-
- E perché? Se si
sono rivelati a quelle persone, che colpa ne ho io? Se mio padre li scoprisse,
potrebbe anche…-
- Potrebbe anche
mangiare la foglia, Kes? Ma i tuoi ideali, il tuo grande progetto… adesso vuoi
tirarti fuori?-
Kes cominciò ad
innervosirsi.
- Non sono tenuto a
fare qualcosa per loro! Non posso mettere a repentaglio…-
- Che cosa?
L’opinione di tuo padre? Ma se non hai fatto altro che fregartene, che
contraddirlo, da quando ti conosco? O forse hai paura che ti tagli i fondi? Ti
piace fare il ribelle finché non devi impegnarti sul serio?-
- Stai zitto! Sei
l’ultima persona che può farmi la morale! Non dovresti nemmeno parlarmi, tu!-
gridò, con la precisa intenzione di ferirlo. E ci riuscì.
Gli occhi di Lyo
divennero gelidi. Le sue labbra presero una piega amara, ed incrociò le braccia
sul petto, distogliendo lo sguardo da lui. Poi si alzò, prese la sua vestaglia,
attraversò il passaggio segreto, e si gettò sul primo letto che gli capitò
davanti. Kes lo seguì solo fino alla porta.
- Ma no, dai… io
non volevo…Lyo!-
Lyo non diede segno
di averlo sentito.
- Va bene, fa’
quello che vuoi, allora!- Kes tornò in camera sbattendo la porta. Continuò a
rigirarsi nel letto per tutta la notte, sempre più propenso a pentirsi,
beninteso se Lyo avesse fatto il primo passo. Se, per esempio, la mattina dopo
l’avesse salutato, allora si sarebbe gettato ai suoi piedi chiedendogli
perdono. Il guaio era che anche Lyo pensava la stessa cosa; così, la mattina
dopo, non si rivolsero la parola, anzi, non si videro neanche, perché ognuno
restò dal proprio lato della porta. Lyo trascorse l’intera giornata steso sul
letto, a meditare, Kes invece la passò cercando di rendere la vita impossibile
a suo padre. Ancora una volta, a sera, nessuno dei due si decise ad affacciarsi
nella camera dell’altro, e dormirono ancora soli. Lyo si sentiva decisamente
stupido a tenere il muso a Kes per qualcosa di cui in definitiva non gli
importava niente, ma era una questione di principio, e ne andava ormai della sua
dignità. Kes non poteva trattarlo da pari a pari solo finché gli faceva
comodo, e doveva capirlo e scusarsi.
Kes non dormì
nemmeno quella notte. Il contatto con Lyo gli mancava, e, dannazione, non
riusciva quasi a ricordarsi il perché avevano litigato. Però ricordava
benissimo che quello che gli aveva detto era davvero meschino, ed aveva fatto
male a se stesso non meno che a Lyo. L’indomani si appostò, in attesa che
uscisse dalla camera, per chiedergli scusa. Quando Lyo uscì, lo afferrò per un
braccio attirandolo nella nicchia in cui si era nascosto. L’espressione di Lyo
era di divertita sorpresa: non gli avrebbe detto di no, però cercava di fare
ancora il sostenuto. Kes lo guardò seducente.
- Sono stato uno
stupido a dirti quelle cose. Mi vuoi perdonare?-
- Non ho sentito
bene quelle poche paroline “ Lyo, sono stato un cretino, avevi ragione tu,
come al solito. Ti chiedo umilmente scusa”. Allora?-
Kes ripeté
diligentemente. Poi si accostò all’orecchio dell’amico e gli sussurrò: -Ti
amo-.
Lyo non gli disse più
di no, e si lasciò coinvolgere nel profondo bacio che Kes gli diede. Quel bacio
gli aveva fatto venire una mezza idea su come impegnare le ore successive, ma
quando aprì gli occhi vide il padre di Kes, alle sue spalle, che li guardava
costernato. Si irrigidì, Kes se ne accorse, si voltò, e diventò pallido come
un cencio. Un attimo dopo, le sue orecchie divennero una fiamma.
- Vattene via, tu-
disse l’uomo a Lyo, senza guardarlo. Lyo si ritirò nella camera dei giochi, e
tenne l’orecchio appoggiato alla porta, in ansia. Fuori, ci fu un lungo attimo
di silenzio.
- Che cosa credi di
fare?- cominciò poi con durezza il padre di Kes.
- Papà, io…-
- Quello
– e lo disse con malcelato disprezzo – non avrebbe dovuto essere qui
fuori. Deve stare in quella camera, è lì apposta. Mi vuoi spiegare perché non
lo chiudi a chiave?-
- Ma papà, non è
una prigione… lui non è un prigioniero…-
- E’ un Inferiore!
Gli Inferiori devono stare al loro posto!-
- Ma papà…-
- Basta! Non devi
permettergli di fare quello che vuole! Il suo compito è quello di soddisfarti,
punto e basta. Non deve, ripeto, non deve azzardarsi a girare per la casa! E’
soltanto un Inferiore!-
- E’ una persona!-
gridò Kes. Suo padre assunse un’espressione sardonica.
- Una persona? Chi
ti ha detto un’idiozia del genere? Gli Inferiori sono bestie! Sono… delle
scim-mie!-
- Se fossero delle
bestie non ci faresti l’amore! Se fossero bestie non partorirebbero figli da
noi!-
- Ah, i figli! Se
gli Inferiori fossero come noi farebbero dei figli come noi, no? Farebbero dei
figli Patrizi! Se fossero come noi sarebbero Patrizi!-
Kes si morse il
labbro. Temeva di esprimere le sue opinioni di fronte al padre, ma poi gli sputò
in faccia tutto quello che pensava.
- Ma quelli
fanno in modo che i nostri figli siano come loro! Forse sarebbero anche Patrizi,
se…-
- Hai guardato
troppa televisione. Quelle stupide idee di quel gruppo di rivoluzionari…
idioti, e tu non sei da meno, se gli credi… se gli Inferiori potessero avere
figli come noi, dovrebbero nascere Patrizi dai matrimoni fra Inferiori. Tu che
ti vanti tanto di aver studiato, se hanno i nostri geni dovrebbero nascere dei
Patrizi, no? E perché non accade?-
Kes avrebbe potuto
facilmente controbattere con l’ipotesi che le cliniche manipolassero in
qualche modo i geni dei nascituri, come aveva imparato nell’associazione, ma
gli argomenti di suo padre e l’autorità che aveva su di lui lo ammutolirono.
Il padre ne approfittò per rimproverarlo di nuovo.
- E comunque non
voglio mai più vedere quell’Inferiore fuori da quella camera! Ho tollerato
fin troppo: se non ti vuoi sposare, passi, ma non voglio che quello giri per
casa insozzando…-
- Papà, non ha la
peste! Non ti può infettare la casa se va in giro! E’ un essere umano! Lyo è
un essere umano!-
- Lyo… sei
arrivato a chiamarlo per nome? Quella puttanella ti ha circuito per bene, a
quanto vedo. Non dovresti permetterglielo. D’ora in poi lo terrai chiuso a
chiave, e non gli permetterai di fare quello che vuole-.
- No, papà. Io…
non voglio-.
- Non vuoi? Non
vuoi? Kes, è un Inferiore! Lui appartiene a te, ma tu non devi appartenere a
lui! Lui è solo il tuo passatempo! Devi controllarlo!-
- Papà, l’amore..
l’amore non si piò controllare…- disse Kes, piano, con gli occhi bassi. Lyo
sentì un tuffo al cuore. Ti prego, non
dirglielo, non dirglielo, implorò piano.
- Che cosa?- disse
il padre, con un moto di sorpresa.
- Papà, io lo amo!-
Il padre ammutolì
per un attimo, ma fu un secondo, poi tornò subito alla carica.
- Ah, sì? Be’,
finché stai sotto il mio tetto non voglio sentire cretinate del genere. Se vuoi
renderti ridicolo, vattene dalla mia casa. Fa’ quello che ti pare, ma fuori di
qui-.
- Papà, io…-
- Bada bene, se
sento un altro fiato ti toglierò ogni cosa. Non vedrai mai più un soldo da me!
D’ora in poi quello lo chiuderai a chiave, altrimenti te le faccio passare io
le mattane. E, figliolo, d’ora in poi pensaci due volte prima di dire
stronzate-.
Il padre si allontanò.
Aveva vinto; Kes si sentiva svuotato, e davvero stupido per non aver tenuto
testa a suo padre, anche se sapeva di avere ragione. Rientrò nella camera; Lyo
gli andò vicino.
- Come va, Kes?-
- Lasciami stare-.
Lyo cercò di
abbracciarlo.
- Lasciami in pace,
ti ho detto, per favore! Adesso non mi va-.
Lyo tacque per un
po’, poi non resistette più.
- Kes, perché non
gli hai detto… perché non gliel’hai detto?-
- Che cosa?-
- Ma… tutte le
cose che hai detto a me… delle idee dell’associazione… dell’amore, e…-
- Sì, per farlo
arrabbiare ancora di più? Per fargli capire tutto e farmi sbattere in
prigione?-
- Ne eri così
convinto… allora non era vero…-
- Lyo, finiscila,
non ho voglia di litigare-.
- Avresti dovuto
tenergli testa, rispondergli per le rime!-
- E non l’ho
fatto? Credi che sia facile?- Kes si stava scaldando. Lyo non voleva litigare,
aveva intenzione soltanto di tirarlo su, e non si rendeva conto di aver
imboccato una strada pericolosa. I suoi occhi dicevano ancora: ”Abbiamo appena
fatto pace, non litighiamo di nuovo”.
- Però… dovevi
dirgli tutto quello che pensi… dovevi fargli capire che non sei meschino come
lui!-
- Ah, sì, avrei
dovuto farmi sbattere fuori a calci? Che cosa avrei fatto, allora? Che cosa
avremmo fatto? Ma già, a te che te ne importa? Tanto, tu puoi sempre venderti
il culo, che te ne frega? Ci sei abituato!-
Lyo incominciò a
piangere. Ma le sue erano lacrime di rabbia, e, anche, di odio.
- Kes, sei più
stronzo tu di tuo padre! Lui almeno te lo dice in faccia quello che pensa! Mi
fai schifo, anzi mi fai pena, non riesci a vivere senza la pappa pronta!-
- Stai zitto!
Finiscila!- Tutta l’ira che sentiva contro suo padre si riversò fuori
all’improvviso. Colpì Lyo con il dorso della mano, ripetutamente, e quando
Lyo si difese, rispondendo ai colpi, accecato, afferrò la prima cosa che gli
capitò in mano e colpì Lyo, forte, il più forte possibile, con un grido
animalesco. Soltanto quando Lyo cominciò a gridare per il dolore, tornò
lucido. Vide il sangue sul petto di Lyo, e sangue sull’attizzatoio che gli
cadde dalle mani. Andò vicino a Lyo, piangendo.
- Oh, Lyo, oh, ti
prego, scusa… scusami…-
Lyo non lo guardava,
e teneva una mano sulla ferita. Kes lo fece medicare, e gli restò vicino mentre
si riprendeva dalla perdita di sangue. Adesso però, lo sentiva distante,
sentiva di aver creato un baratro tra loro, e non aveva idea di come tornare a
colmarlo.
Per qualche giorno
gli restò accanto, cercando di consolarlo dagli atroci dolori di cui era preda.
Se aveva avuto altre discussioni con il padre, Lyo non lo sapeva. Quella
mattina, quando si accostò per baciarlo, Lyo vide che aveva una chiave di
ottone fra le dita.
- Non chiudermi…
ti prego- gli disse piano.
- Non… non posso.
Mio padre…-
- Per piacere-. Lyo
era troppo debole, e stanco, per litigare. Ma non voleva che Kes lo chiudesse
dentro. Anche Kes non avrebbe voluto, ma suo padre gli aveva fatto capire che
Lyo sarebbe sparito, se non gli avesse obbedito. Avrebbe potuto farlo sparire
anche prima, per affermare chiaramente e subito la sua autorità, ma
evidentemente preferiva logorare i due giovani ed il loro rapporto con la paura
e le minacce velate.
- Tu non mi ami
davvero- disse Lyo, in un ultimo tentativo.
- Non è vero. Se lo
faccio, è perché ti amo-. “Ti prego, credimi, non farmi piangere” gli
dicevano gli occhi lucidi di Kes. Lyo distolse lo sguardo, rivolgendolo verso la
finestra.
- Tieni il piede in
due scarpe? Qui dentro mi ami da impazzire, ma fuori devono credere tutti che mi
disprezzi? Pensavo che fossi diverso, pensavo che…-
- Lyo- gli sussurrò
Kes, andandogli vicino. – Ho nascosto i nostri capi nel cantiere di mio padre.
Ti prego, non mettermi in difficoltà più di quello che sono già-.
Lyo annuì con poca
convinzione. La parte più egoista di lui gli diceva che Kes avrebbe dovuto
ribellarsi, per lui; ma la parte razionale tentava, con poco successo, di dargli
ragione.
Restò voltato verso
la finestra, mentre il dolore al petto si riacuiva. Un raggio di sole entrava.
Si sentiva come se
Kes l’avesse esposto, nudo, alla mercé di chiunque volesse toccarlo o
insultarlo. Ma lui, in fin dei conti, era solo un giocattolo.
Dietro di sé, sentì
le due mandate che chiudevano la porta, e sospirò.
continua?
Volete sapere che fine fanno Kes e Lyo? ... anche io! Ma non mi viene
in mente niente... se avete qualche piccolissima idea su cui lavorare, ve
ne sarò infinitamente grata!
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