Il giocattolo

di Sei-chan


.."Adesso parlano della tua ferita.
Vogliono sapere come è accaduto"
"Noi avevamo entrambi ragione"
rispose Atreiu "Ed entrambi abbiamo sbagliato

La capitale, la grande città di Temno, era certamente la città più bella e più ricca dell’intero paese, anzi, in assoluto, la più bella e la più ricca del mondo intero. Le sue strade erano bianche e pulite, i suoi palazzi erano alti, le loro finestre lucide, ai loro balconi, ai crocevia, ai bordi dei marciapiedi era sempre un nascere e un fiorire di fiori di mille colori, in ogni stagione dell’anno; i lampioni illuminavano a giorno tutte le vie, per tutta la notte, e naturalmente nessuno doveva temere di uscire, da solo, anche a sera inoltrata. I vicoli erano deserti e puliti, nessun vagabondo vi si nascondeva, almeno vicino al centro della città; ma, verso la periferia…

Verso la periferia, pian piano spuntava la presenza dell'altra città, della Città Inferiore, che si risolveva in baracche e tuguri camuffati da palazzoni, in un ammasso di persone che passavano la giornata ad attendere che calasse il buio, e le notti a risalire verso la Città Superiore, a riversarsi nei vicoli di periferia, in attesa delle macchine dai grandi fari che scendevano dai garage lastricati di marmo e facevano salire qualcuno di quei disperati e quelle disperate.

Perché quei disperati e quelle disperate erano le loro bambole; erano i loro passatempi. E alcuni di loro, la mattina, tornavano alle loro case, alle famiglie con nugoli di bambini ed i vecchi svaniti; altri, invece, rimanevano nella Città Superiore, e venivano scambiati, comprati e venduti dai suoi abitanti, e diventavano loro proprietà, i giocattoli della Città Superiore.

Lyomin aveva ventun anni, grandi occhi verdi e capelli neri, scarmigliati. Il suo viso era liscio e pulito, ed indossava uno di quegli abiti che usavano i marchettari; in pratica, non aveva quasi niente addosso, e quello che aveva non era pensato allo scopo di coprirlo. Da anni ormai, ogni notte, andava alla Città Superiore, saliva su una macchina e tornava con pochi biglietti o qualche moneta; ma quella sera, invece di aspettare, nascosto, come al solito, era andato in un locale che serviva proprio a quello scopo, per cercare qualcuno che volesse prendersi un amante.

In quel locale c’erano parecchi uomini, sia Patrizi, come si facevano chiamare, sia Inferiori, come li chiamavano. Le donne erano poche, ed erano in maggior parte come lui, e gli uomini che le avvicinavano erano rari e furtivi: c’erano altri locali per gli uomini che volevano incontrare donne, e viceversa, e altri ancora per le donne che cercavano altre donne. Si avvicinò al banco; non aveva denaro, ma non gli avrebbero dato da bere comunque. Anche gli altri marchettari erano in piedi, alcuni giravano sfacciatamente, mostrandosi, fra i tavoli, altri erano fermi, e vagavano con lo sguardo, come lui; soltanto i Patrizi erano seduti e bevevano, additandosi l’un l’altro uno dei ragazzi o guardando soltanto, solitari. I ragazzi si rivolgevano agli uomini seduti, parlandogli anche provocatoriamente, visto che in quel luogo le consuetudini, per un tacito accordo, sembravano accantonate. Gli uomini allungavano le mani, toccando i corpi che gli si offrivano, e quando un ragazzo si sentiva offrire da bere, poteva sperare che “l’affare” fosse concluso.

Lyomin incrociò lo sguardo di un uomo di mezza età, non molto bello, seduto ad un tavolo in fondo. Istintivamente gli venne da abbassare lo sguardo, ma si fermò in tempo. Per darsi un contegno, si appoggiò di schiena al bancone e fece girare oziosamente lo sguardo attorno; poi, con noncuranza, tornò a guardare l’uomo. Questi alzò leggermente il suo bicchiere verso di lui; era un segnale, e Lyomin si avvicinò, restando in piedi davanti a lui. Vide lo sguardo dell’uomo che lo esaminava brutalmente, soffermandosi con insistenza sulle sue parti intime; mosse una mano, ma non lo toccò. Finalmente fece cenno a Lyomin di sedersi al tavolo; nessuno dei due aveva detto una sola parola.

-Quanti anni hai? Diciassette?- gli chiese l’uomo, muovendogli il viso come fosse un cavallo.

-Ventuno- rispose Lyomin, abituato a non usare troppe parole, con i Patrizi. -Non sono vergine- aggiunse, poiché sapeva che la domanda sull’età mirava proprio a quello. Ai Patrizi non piaceva prendersi amanti inesperti, in quei locali. La mano dell’uomo intanto si era spostata molto più in basso, e Lyomin sentì un inconsueto brivido attraversargli le gambe.

-Bene. Muoviti- gli disse l’uomo, e si alzò, avviandosi all’uscita senza nemmeno aspettarlo. Salì sulla macchina e accese il motore, mentre Lyomin saliva. Non gli aveva chiesto come si chiamava e non gli aveva detto il suo nome, ma questa era una cosa del tutto normale. Lyomin notò che l’uomo era solito consumare i suoi rapporti in macchina, ma quella sera lo fece scendere davanti a casa sua.

Per tutto il tragitto non avevano scambiato una parola. La tregua del locale era finita, e Lyomin non poteva parlargli se non veniva interrogato.

Osservò l’uomo che guidava; non era difficile, alla luce diffusa dai tanti lampioni. I capelli, radi attorno alla testa, erano biondo grano, e gli occhi azzurro ghiaccio, come lo erano gli occhi ed i capelli di tutti i Patrizi. Non era un uomo bello, ma Lyomin cercava fin dall’inizio qualcuno che potesse mantenerlo come amante, e certamente non pretendeva che lo amasse; d’altra parte nemmeno l’uomo l’avrebbe permesso.

Non dissero una sola parola, nemmeno quando l’uomo aprì la porta della camera da letto e lo lasciò lì, allontanandosi. Lyomin tolse i pochi centimetri di stoffa che indossava e si stese sul letto. L’uomo gli andò vicino e cominciò ad accarezzarlo, senza incrociare il suo sguardo e senza passione, per eccitarsi. A sua volta Lyomin cominciò ad accarezzarlo con mani esperte, sotto gli abiti che aveva ancora addosso. All’improvviso l’uomo se li tolse e salì sopra il corpo di Lyomin, muovendosi immemore di lui e di tutto il resto. Lyomin era stranamente eccitato; non gli era mai capitato di desiderare così tanto il sesso, anche con persone giovani ed attraenti; ma quella notte si sentì prendere dal gioco che il corpo sopra di lui stava conducendo. Ansimando, l’uomo cominciò a muovere i fianchi, e a toccargli le gambe, il fondoschiena, il petto sempre più forte, sempre più dolorosamente; però, anche quel dolore gli piaceva, e lo desiderava. Inarcò la schiena, piegò le gambe mentre l’uomo cercava di penetrarlo, provando piacere come se fosse lui il padrone del gioco, e non il giocattolo. Sentiva il sudore dell’uomo sulla sua pelle, il suo sesso dentro di sé, e bruciava, avrebbe voluto gridare, ma la voce era come intrappolata nella sua gola, e poteva soltanto gridare con le mani, che abbracciavano e accarezzavano appassionatamente quel corpo sconosciuto.

Quando l’uomo cessò di spingere, rimase ansimante disteso su Lyomin. Anche Lyomin ansimava. Gli era sempre piaciuta la sensazione di un corpo pesante sopra di lui, che voleva prenderlo, e forse era per questo che preferiva gli uomini. Gli piaceva da morire, ma non gli era mai piaciuto tanto come adesso. L’uomo, però, rimaneva sopra di lui e dentro di lui, e dopo un po’ cominciò ad avvertire un certo fastidio, che si trasformò presto in dolore, e quel dolore non gli piaceva più tanto. Cercò di muoversi leggermente, sperando che l’uomo capisse, ma questi restò nella sua posizione. Non voleva contrariare il suo nuovo amante, non voleva compromettere quell’affare, e l’uomo avrebbe fatto presto a sbatterlo fuori, se l’avesse fatto arrabbiate. Per questo cercava di tacere, mentre le fitte si facevano sempre più brucianti.

- Mi fai male. Per favore…- gemette alla fine, sottovoce, quando stava per esplodere. L’uomo aprì improvvisamente gli occhi, e lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Lyomin vide con terrore la furia montare in quello sguardo, e non fu preparato a ricevere il colpo che quasi lo stordì. L’uomo cominciò a colpirlo con una forza straordinaria, mentre lui cercava di farsi scudo con le mani.

- Come ti permetti! Puttana!- gli gridava l’uomo. – Maledetto cane, fottuto…- continuò ad insultarlo, mentre gli premeva dolorosamente il viso contro il cuscino, colpendolo anche con calci e pugni nella schiena. Lyomin sentiva il sangue scendergli dal naso e dalle guance, e si sforzò di non piangere; era abituato a sfuriate di quel genere perché non riusciva, non riusciva a mantenere il rispetto fino in fondo, e trovava sempre un modo per far incollerire i suoi clienti: aprendo la bocca…

L’uomo adesso era cavalcioni sopra di lui, e gli premeva ancora il viso nel cuscino.

- Vediamo se adesso hai ancora voglia di parlare…- gridò, mentre lo stuprava il più violentemente possibile. Lyomin pianse: non gli piaceva più, adesso, e non si sentiva più padrone del gioco. Alla fine l’uomo si distese nell’altro lato del letto.

- Sei contento, Faccia d’angelo, adesso, eh? Oh, cazzo, mi hai sporcato il cuscino… brutta troia!- lo insultò di nuovo, ma non lo colpì. Lyomin giacque tutta la notte rannicchiato su se stesso, mentre la rabbia impotente gli cresceva dentro e le lacrime lo abbandonavano. Aveva pianto perché si era spaventato, ma ormai era abituato alle violenze. I Patrizi scendevano nella Città Inferiore, sceglievano i ragazzini e le ragazzine che avevano l’età giusta e li violentavano, per poi gettarli in pasto dei clienti della Città Superiore. Tutti quelli che battevano di notte erano abituati ad essere picchiati e stuprati, e nessuno di loro ci faceva più caso. Però adesso avrebbe dovuto continuare a girare per i vicoli, perché quell’uomo di sicuro non l’avrebbe tenuto. Non gli era sembrato uno dei più tolleranti.

La mattina l’uomo lo svegliò scuotendolo senza tanti complimenti, e, dopo averlo insultato ancora per il sangue sul cuscino, lo fece entrare nella doccia.

- Datti una pulita e poi vestiti, e vedi di sbrigarti!-.

Era raro che un Patrizio concedesse a una puttana di usare il suo bagno, perciò Lyomin ne approfittò per godersi una doccia vera, una volta tanto. Poi uscì, si asciugò ed indossò gli stessi stracci del giorno prima. Era quasi certo che l’uomo l’avrebbe cacciato via.

-Vieni con me. E stai zitto-.

L’uomo lo fece salire sulla macchina, ma Lyomin notò che non stavano andando verso la periferia. L’uomo si fermò in un elegante quartiere residenziale dove sorgevano maestose ville di un sacco di piani. Suonò ad una di quelle. Lyomin moriva dalla voglia di chiedergli che cosa avrebbero fatto lì, e l’uomo lo notò.

- Che vuoi? Avanti, parla-.

- Che cosa ci facciamo qui?- chiese.

- Qui abita un mio amico. Tu sei il suo regalo di compleanno al figlio-.

Lyomin tacque, stupito. Dopo la notte passata, si chiedeva come quell’uomo potesse darlo ad un altro per suo figlio.

- Qui usano la frusta. Ho visto che sai scopare, perciò anche se parli a vanvera qui ti mettono al tuo posto. Credi che mi freghi tanto di te?-. L’uomo aveva parlato di sua volontà, ed in quel momento arrivò alla porta il padrone di casa, chiamato dal portiere. Come tutti i Patrizi, anch’egli aveva i capelli color grano e gli occhi azzurri; il portiere invece era un Inferiore, aveva la pelle scura ed i capelli crespi.

- Come vedi, ti ho portato quello che volevi. Non è uno splendido esemplare?-

L’altro annuì, e lo esaminò, interessato.

- E tu l’hai provato?- chiese all’amico.

- Naturalmente. E per tuo figlio non puoi trovare di meglio. È… come posso dire…-

L’altro lo fece tacere con un gesto della mano, annuendo.

- Sta’ attento- continuò però l’uomo - ha il vizio di aprire un po’ troppo la bocca. Se ti dà fastidio, ti consiglio di tagliargli la lingua. Ma tu starai zitto, non è vero, Faccia d’angelo?-

Lyomin annuì piano, infastidito dallo sguardo sgradevole dell’altro uomo che lo scrutava come se fosse una cosa strana e inconsueta.

- Sono sicuro che a Kes piacerà. Mi ha dato un’ampia dimostrazione, eh, Faccia d’angelo?- disse l’uomo prendendogli il viso tra due dita. Lyomin si scostò istintivamente.

- Fai il ritroso, eh? Ma con Keres non succederà, vedrai, ha un culetto che…- l’uomo tacque improvvisamente, ed arrossì. Il padre di Keres lo stava guardando di traverso.

- Ha già mangiato?- chiese quest’ultimo all’uomo, senza degnare Lyomin di un solo sguardo.

- Se fosse per me, lo lascerei ancora un po’ a digiuno, così potrà meditare-.

L’altro uomo non gli diede retta, chiamò un servitore, un Inferiore, che guardò Lyomin con occhi tristi mentre lo conduceva in una piccola stanzetta con una tavola apparecchiata. Lyomin si accorse in quel momento di essere divorato dalla fame. L’uomo a cui era stato ceduto gli aveva detto anche di cambiarsi.

“Probabilmente è abituato a persone molto più fini, qui dentro”, pensò Lyomin, vergognandosi per l’abito che lo scopriva. Non era nulla di neanche lontanamente sexy o anche solo piacevole. Era volgare, e basta; brutto tanto da vedere quanto da indossare; ma era un modo, come gli avevano detto una volta, per “mostrare la merce”. Si sentì meglio dopo aver indossato abiti puliti; anche quelli non erano il massimo dell’eleganza, anzi erano piuttosto dozzinali, ma non era il caso di fare lo schizzinoso.

Quando ebbe mangiato, aspettò un po’, poi si azzardò ad aprire la porta. In fondo al corridoio vedeva il suo amante della notte scorsa nell’ingresso, insieme al padrone di casa. Vide che stavano contando parecchi biglietti di banca, che poi il primo si cacciò in tasca. Non avrebbe visto nemmeno uno di quei biglietti; gli Inferiori erano semplicemente proprietà dei Patrizi, e chi ne prendeva uno poteva farsene quello che voleva; a volte alcuni Patrizi rifiutavano di pagare gli Inferiori per i rapporti occasionali.

Dopo aver concluso la transazione, il padrone di casa in persona venne ad esaminarlo; doveva averlo giudicato di suo gradimento, perché, con un cenno e con una strana espressione di disgusto in faccia si fece seguire in un appartamento da qualche parte in quella immensa casa, dove c’erano divani, poltrone, cuscini di ogni foggia e dimensione, e letti di molti tipi, alcuni nascosti dietro tende, paraventi, o su piedistalli, e dietro un altro leggero tendaggio si vedeva un piccolo spogliatoio ed una piscina vuota. Lyomin fu fatto sedere su un divano, con la libertà di muoversi come preferiva, in quella che aveva subito ribattezzato come “ la stanza di giochi”.

“Giochi per bambini un po’ cresciuti” completò poi tra sé e sé quando il padrone se ne fu andato, dopo avergli detto che suo figlio l’avrebbe raggiunto dopo cena, lasciandolo così un’intera giornata tutto solo lì dentro.

Lyomin cominciò subito a guardarsi attorno. Quella stanza era più grande dell’intero piano dove si trovava il suo appartamento, cioè lo stanzone che condivideva con altri sei o sette ragazzi della sua età. L’arredamento e le suppellettili la dividevano in zone ideali con un tema ben definito; c’era la camera orientale, quella che sembrava un bungalow nella giungla, quella rinascimentale, persino una versione extra-lusso di una caverna preistorica, il letto con la coperta rossa e quello coi lenzuoli di seta nera; la piscina era circondata di fiori tropicali dal profumo penetrante: se apriva i rubinetti ne usciva acqua deliziosamente calda e leggermente profumata, mentre da pannelli nascosti piovevano petali di rose. Le pareti dissimulavano abilmente armadi con ogni genere di oggetto che poteva servire per “giocare”; chissà se il signorino amava quel genere di cose o se erano lì nel caso gliene fosse venuta voglia; chissà se lì erano passati altri amanti, o se lui gli veniva regalato per iniziarlo.

Nel suo peregrinare capitò in un letto che aveva sopra, sul soffitto, un grande specchio, non aveva mai visto una cosa del genere; avrebbe voluto vedere, però, quello che succedeva sopra di lui mentre faceva sesso col suo amante; si distese su quel letto, e si guardò: era molto bello, certo, aveva due occhi, due braccia, due gambe; però aveva gli occhi verdi ed i capelli neri. Nella città di Temno non c’era crimine maggiore che questa violazione alla “prima direttiva”: cioè che chi non ha i capelli biondi e gli occhi color del cielo è un Inferiore, e come tale può svolgere soltanto un tipo di servizio alla società: servire sempre, e senza esclusioni, gli appartenenti alla Razza Superiore, i Patrizi; o forse c’era un crimine maggiore: quello di rivolgere la parola per primi ad un Patrizio o guardarlo negli occhi, o ancora sottrarsi a lui o rifiutargli qualcosa, o invece pretendere qualcosa da uno di loro. A volte ai Patrizi piaceva punire gli Inferiori, e allora sapevano essere terribilmente crudeli; certo, c’erano anche persone che li rispettavano, ma questi erano una quantità infima, e infatti nella sua vita non ne aveva mai incontrato nessuno; se c’era qualcosa che poteva screditare un Patrizio agli occhi degli altri era la gentilezza, o meglio l’umanità verso un Inferiore.

Lyomin si guardò ancora allo specchio. Per lui quel posto, quel momento erano straordinari: non aveva conosciuto mai un attimo di tregua, si può dire dall’età della ragione, in cui la necessità di compiacere il desiderio sessuale di un Patrizio non fosse stato impellente; per la prima volta non aveva fame, non aveva freddo e non aveva bisogno dei soldi di un cliente per arrivare alla notte successiva. Rifletté; probabilmente anche lui era figlio di un Patrizio, come la stragrande maggioranza dei figli delle Inferiori. Ai Patrizi non interessava affatto la sorte dei figli avuti dalle loro schiave; d’altra parte, erano Inferiori anch’essi. Non si sapeva di figli Patrizi nati da un’inferiore; i Patrizi facevano figli alti e biondi solo con le proprie mogli, anche se il contatto fisico fra coniugi era considerato una delle cose più ripugnanti della vita; un’altra era portare un figlio in grembo. Per questo gli uomini Patrizi ricorrevano alle giovani e bellissime schiave e le donne Patrizie agli splendidi e aitanti stalloni Inferiori, e lasciavano i figli legittimi al concepimento in provetta e agli uteri artificiali. A lui le donne Patrizie erano sempre sembrate matrone romane, che adoravano circondarsi, ancora più degli uomini, di decine di maschi belli e capaci che potessero soddisfarle. Anche lui aveva sfiorato quella possibilità, anni prima, ma poi era stato giudicato troppo magro per sostenere la parte. Adesso aveva la prestanza adatta, e forse adesso sarebbe stato in uno di quegli harem se avesse scelto un altro tipo di locale; invece era diventato il regalo di compleanno di un verginello che probabilmente l’avrebbe presto gettato in un angolo come un giocattolo vecchio.

“ Be’, a questo posso rimediare, posso fare in modo che non mi getti via…” pensò Lyomin non senza malizia. Cercò di immaginarsi il suo padroncino; il padre sembrava un uomo ancora attraente, perciò forse il figlio lo sarebbe stato altrettanto; però non sapere la sua età limitava alquanto la sua immaginazione.

A mezzogiorno gli servirono il pranzo, durante il pomeriggio scelse una tazza di cioccolata, e sperò di poterla gustare di nuovo molto presto, e a sera gli portarono la cena. Attese ancora un po’, e finalmente un servitore portò un grosso vassoio di paste salate, ma gli ordinò di non toccarlo finché fosse arrivato il padroncino, che non avrebbe tardato molto. Infatti, di lì a poco, sentì lo scorrere di un pannello segreto e vide il giovane.

Aveva una figura stupenda. Non aveva mai visto un viso il cui l’oro e l’azzurro si combinassero così splendidamente, con quella dolcezza. I capelli lucenti, le lunghe ciglia di seta, il rosa delle guance e il tenue colore delle labbra piene: Lyomin restò incantato un attimo ad osservarlo, finché l’apparizione non afferrò prosaicamente una tartina dal vassoio; allora Lyomin riprese coscienza del proprio ruolo, ma aspettò.

Il ragazzo l’aveva osservato intensamente a sua volta, poi si era chinato a scostargli una ciocca di capelli dal volto: Lyomin aveva sentito per un istante il lieve profumo che emanava. Si vergognò degli abiti che portava – anche se non erano quelli della notte prima-, ed invidiò la lunga tunica di seta azzurra bordata d’oro, dalle maniche ampie, che il giovane portava.

- Ciao- disse quest’ultimo, intimidito. Lyomin rispose con un cenno della testa, ben attento ad evitare i suoi occhi. Il ragazzo si guardò intorno nervosamente.

- Non mi piace qui. Vieni nella mia stanza- gli disse, tendendogli la mano. Lyomin la prese e si lasciò condurre attraverso il passaggio segreto in una camera più piccola, in cui c’erano uno scrittoio, due poltrone ed un letto bianco con un baldacchino. Il giovane vi si sedette; Lyomin rimase in piedi.

- Mio padre ha insistito per regalarmi quella camera, ma a me non piace, sai… Come ti chiami?-

A Lyomin piaceva giocare sul filo del rasoio. Era più forte di lui, gli piaceva provocare il Patrizio di turno ed arrivare al punto di rottura; forse, in fondo, gli piaceva essere insultato e picchiato. Perciò non rispose, guardando altrove.

- Io sono Keres. Kes. Qual è il tuo nome?-

Di nuovo Lyomin non rispose; però sedette accanto al ragazzo, guardandolo intensamente negli occhi, e accarezzandogli le gambe, poi si distese di traverso vicino a lui, come fosse il padrone; aspettò la reazione di Kes, ma questi lo lasciò spiazzato: si stese accanto lui, prese il suo braccio e lo passò dietro le spalle, avvicinandosi a lui; il suo sguardo diceva “non me ne frega niente delle regole”; in un attimo, la sua bocca baciò quella di Lyomin e si ritirò.

- Come ti chiami?- ripeté con dolcezza.

Per Lyomin quella dolcezza era del tutto inconsueta. Il giovane l’aveva quasi totalmente disarmato.

- Faccia d’angelo- disse.

Kes rise. –Faccia d’angelo è bellissimo… e perfetto. Qual è il tuo vero nome?-.

-Lyomin- continuò Lyomin. La gentilezza di Kes continuava a rapirlo e a confonderlo. Cominciò a giocherellare con i suoi capelli senza rendersene conto.

- Lyo- disse Kes. – Mi piaci, anche se mio padre dice che ti ha trovato quel viscido del suo amico. Non fa altro che cercare di mettermi le mani addosso-.

- Davvero?- Lyo adesso non temeva più di parlare, anche se da qualche parte della sua testa voleva ancora vedere fin dove Kes avrebbe resistito. – Quanti anni fai?-

- Diciotto. Mio padre ha pensato che non mi poteva regalare una stanza come quella e lasciarla vuota… ma è assolutamente orribile-.

Lyo rise. Il ragazzo rimase fermo per un po’, incerto sul da farsi. Lyo pensava che non doveva essere vergine, a quell’età; forse era solo molto timido.

- Aspetta- disse Kes improvvisamente, alzandosi – vado a prendere il vassoio- ed uscì, strizzandogli l’occhio. Era incredibile: i Patrizi, se dovevano fare una cosa, istintivamente cercavano l’Inferiore più vicino per farla fare a lui, ma era evidente che a Kes non era nemmeno passato per la testa.

Rapidamente, Lyo si spogliò, e rimase nudo ad aspettarlo sul letto. Quando Kes rientrò, prima impallidì, poi distolse lo sguardo ed arrossì, voltandosi dall’altra parte mentre posava il vassoio.

- O mio dio…- gemette piano, boccheggiando. Coprendosi il volto con una mano, afferrò una vestaglia e gliela porse. – Mettila, ti… ti prego…-

Lyo sospirò. I verginelli non gli piacevano molto, specialmente così anziani. Forse aveva qualche terribile malattia che faceva morire all’istante tutti quelli che lo guardavano…

Infilò la vestaglia e rimase steso sul letto. Kes si sedette vicino a lui, sorridendogli nervosamente. Con delicatezza, Lyo lo tirò verso di sé e lo fece stendere di nuovo accanto a sé. Lo tenne vicino, e si accorse che la sua performance di poco prima l’aveva eccitato, e che adesso era combattuto fra quel desiderio e l’imbarazzo che provava.

Lyo lo guardò con uno sguardo molto provocante.

- Allora, come ti piace farlo?- chiese, divertendosi del suo imbarazzo.

- Io…ehm… non l’ho… non l’ho mai fatto… con un uomo- rispose Kes, arrossendo. Poi, lo sguardo di scherno di Lyo lo fece sorridere di se stesso. – Ho… sono stato con delle donne, ma… gli uomini mi attraggono di più… sai…-

- Ed il tuo paparino ha pensato di accontentarti, no?-

Kes annuì, sorridendo. Alzò le spalle, con uno sguardo d’attesa.

- Be’, e a te, come piace?- gli chiese.

- Non deve piacere a me- rispose Lyo, nascondendo un brivido. Kes gli aveva scoperto le spalle e aveva cominciato a baciargli la pelle. Ecco, quello gli piaceva, e lui lo sapeva, forse lo sentiva istintivamente.

- Dimmelo-.

- A me… a me piace che qualcuno mi stia sopra… e mi accarezzi, e… potrei…insegnartelo…- rispose a bassa voce, improvvisamente conscio del pulsare del proprio corpo. Kes accanto a lui gemette, come se rispondesse ad una carezza intima.

- Insegnamelo, allora, ti prego- disse piano.

- Non… non posso con questi… vestiti addosso- rispose Lyo toccandogli la tunica di seta.

- Allora… allora li toglieremo- Kes si sollevò leggermente mentre Lyo gli slacciava l’abito e glielo sfilava. Immediatamente dopo la sua mano corse agli slip. Ma lo sguardo di Kes lo fermò. Il suo imbarazzo lo inteneriva profondamente. Quella barriera non avrebbe impedito comunque ai loro corpi di unirsi, ma forse Kes non si voleva sentire troppo…indifeso mentre Lyo era ancora vestito. Rapidamente, anche la sua vestaglia scomparve.

Kes salì sopra di lui. Il suo sguardo era impaurito, e stava aspettando che Lyo gli dicesse qualcosa. Questi gli passò le mani sulla schiena.

- Non preoccuparti. Fa’ finta che io sia una donna…-

- No! È del tutto diverso, tu… non sei una donna… mio dio, no… lo capisco, questo, sai!-

- E… che cosa avrei di diverso da…ah… una donna?- Lyo gemette e mosse i fianchi. Kes lo stava toccando molto intimamente, per dimostrargli di sapere la differenza fra lui ed una donna. Per Lyo fu più facile del solito abbandonarsi alle carezze.

Kes si muoveva sopra di lui. Il sudore faceva aderire i suoi capelli alla fronte. Le loro gambe si intrecciavano continuamente per prolungare il più possibile il contatto; ogni muscolo del loro corpo anelava a toccare l’altro. All’improvviso, Kes si bloccò. Lyo sentiva il suo corpo scottare, e come al rallentatore vide i suoi occhi splendidi scendere verso di lui e chiudersi, mentre le sue labbra si posarono sulle sue. Lyo rimase interdetto, ma la lingua di Kes riuscì a violare la barriera delle sue labbra chiuse, e si abbandonò anch’egli al bacio: fu come bere tutto d’un fiato un liquore molto forte; era stordito, quando Kes si separò da lui. Il giovane si distese prono accanto a Lyo, e, passandogli una mano sul petto, gli sussurrò: - Prendimi-.

Il corpo che Kes gli offriva era stupendo. Lo stava guardando con un viso carico di aspettativa, come se attendesse di riscuotere il credito di piacere che gli aveva dato. Lyo lo accarezzò piano, per aumentare la tensione, poi lo prese. Si accorse di non aver mai desiderato qualcos’altro con la stessa intensità, poi precipitò in un vortice in cui c’era solo la pelle bianca e gli occhi estatici di Kes, e la sua bocca e l’intreccio dei loro capelli sul cuscino bianco.

Quando tornò in sé, stava accarezzando il corpo madido di Kes. Gli occhi del ragazzo erano arrossati e lucidi, ma sulle sue labbra c’era un sorriso squisito. Lyo baciò quel sorriso. Il corpo di Kes sussultava leggermente sotto le sue dita; nel delirio dei sensi, ricordava di averlo sentito gridare.

- E’ stato bellissimo- disse Kes con un sorriso sincero; però, Lyo intuì nei suoi occhi un desiderio che si era appena acceso.

- Davvero?- disse a sua volta. – Vuoi… continuare?-

Kes arrossì. Per tutta risposta, si infilò sotto le lenzuola. – Vieni qui-.

Lyo invece si alzò, prese il vassoio sulla scrivania e glielo mise in grembo. Poi lo raggiunse sotto le lenzuola, e rimase ad osservarlo poggiato su un gomito mentre Kes si serviva. Questi si girò verso di lui e gli porse una tartina, Lyo la mangiò dalle sue mani, e si lasciò imboccare, trattenendo fra le labbra le punte delle dita, quando riusciva ad afferrarle. Poi Kes mise via il vassoio e si rannicchiò accanto a lui, senza toccarlo.

- Avanti, abbracciami-, disse Lyo mettendosi le sue braccia attorno alla vita, incapace di resistere ancora senza il contatto con la sua pelle. Gli accarezzò le gambe con le sue, ma Kes non voleva più fare l’amore. Restarono abbracciati a lungo prima che Lyo si accorse del respiro regolare sul suo petto di Kes, che si era addormentato. Quel ragazzo in una sola notte gli aveva dato cose che gli altri suoi amanti non gli avevano dato mai. Il sesso era sempre stato piacevole, ma mai come quella notte: non era mai stato quella tempesta di emozioni e di piacere che gli aveva regalato il corpo di Kes, un ragazzino inesperto che l’aveva fatto sentire… felice, sì, felice come nessun altro era stato capace di renderlo. Erano la sua bellezza e la sua dolcezza che gli facevano quell’effetto. Aveva conosciuto una tregua dal mondo che era abituato a vivere, una tregua che forse sarebbe durata a lungo. Non avrebbe più voluto lasciare Kes. Intrecciò le mani sulla schiena del ragazzo e si addormentò, sognando il cielo dei suoi occhi e l’oro dei suoi capelli.

Quando si svegliò, doveva essere già giorno da un pezzo; Kes non era accanto a lui, ma poco dopo sentì i suoi passi che si avvicinavano dal passaggio segreto; si rimise fra le coperte e finse di dormire.

Kes entrò con un vassoio carico in mano; aveva dovuto quasi litigare con il cuoco, perché pretendeva di avere la colazione alle undici e mezzo; ma poi suo padre, con uno sguardo di divertita condiscendenza – “immagino quel che hai fatto stanotte” diceva quello sguardo, e a Kes non piaceva molto-, aveva ordinato al cuoco di obbedirgli. Kes posò il vassoio e si avvicinò a Lyo.

- Ehi- lo chiamò piano – Svegliati, dormiglione- disse, poi si accostò alle sue labbra e lo baciò dolcemente. Sentì il tremito delle ciglia di Lyo, che aprì gli occhi e gli sorrise.

- Ben svegliato- gli disse Kes, e gli porse il vassoio. Lyo gli circondò le spalle con le braccia e gli baciò il collo.

- Ti ho sognato, stanotte- disse Kes, porgendoli una tazza.

- Anche io, bellezza-.

- Davvero? Sono contento, io…-

In quel momento udirono bussare.

- Kes, posso entrare? Oh…-

Il padre di Kes era entrato ed era ammutolito, vedendo Lyo nel letto del figlio e Kes fra le sue braccia.

- Puoi venire un attimo qui?-

Kes intuiva il risentimento del padre. Probabilmente era venuto nella sua stanza per farsi raccontare quello che aveva fatto quella notte, com’era quell’Inferiore che gli aveva portato, e l’ultima cosa che si aspettava era di vedere quello stesso Inferiore nel letto di suo figlio in un contatto che non era di natura sessuale. Per molti Patrizi le stanze da letto private erano luoghi da non contaminare, ed infatti quasi tutti avevano stanze “particolari” per il sesso.

- Che succede?- gli chiese suo padre. – Perché si trova lì dentro? Ti ho dato una stanza che…-

- Te l’ho già detto, quella stanza…- Kes tacque all’improvviso, vedendo Lyo che infilava la vestaglia ed entrava nell’altra camera.

- Lyo, che fai?- gli chiese Kes, mentre lo seguiva.

- Perché non dici a tuo padre come ti è piaciuta la piscina? E quell’altro letto con lo specchio, là in fondo? Mi spiace solo di averti bagnato gli abiti, e averti costretto a tornare in camera…-

- Già, non avevamo portato nulla per asciugarci, e siamo dovuti…-

- Mi spiace aver dovuto usare il tuo letto-.

- Oh, è stato lo stesso… fantastico- disse con un sorriso Kes, dimenticandosi per un attimo della presenza del padre.

- L’avete fatto nella piscina?-

Lyo sorrise obliquamente a Kes.

- Oh, sì, e anche in quel letto…laggiù, quello con… lo specchio- rispose quest’ultimo.

- Ah, allora… scusa per averti aggredito, Kes. Preparati, tra poco mi devi accompagnare-.

Il padre si allontanò, rasserenato. Per fortuna, aveva frainteso: suo figlio non stava diventando amico di quell’Inferiore. Kes sorrise a Lyo.

- Grazie. Lui non avrebbe mai capito…-

- Che c’è da capire?-

- Be’, che io… che io non ti disprezzo-.

- Te ne sono grato- disse sinceramente Lyo, baciandolo. – Devi andare via?-

- Faccio da assistente a mio padre. A lui non piacerebbe se restassi con te tutto il giorno. Anche se io… vorrei-.

- Quando torni?-

- Per cena, ma dovrò mangiare con i miei. Dopo, verrò da te-.

Lyo sospirò, e si staccò da Kes, un po’ risentito; ma nessun Patrizio si sognava di rimanere tutto il giorno con il suo bambolotto, se non per sottoporsi ad un certo tipo di maratone. Kes non era ancora andato via e Lyo già ne sentiva la mancanza. Sarebbero stati bene, se Kes fosse rimasto; avrebbero potuto parlare, e conoscersi, cosa che entrambi desideravano intensamente.

- Non chiuderò a chiave la stanza, tanto ci sono soltanto i servi, in giro. Vai pure dove vuoi; mi spiace non rimanere-.

- Vai pure, me la caverò. Anche se… mi annoierò a morte, lo sai-.

Se avesse avuto un altro amante – quello che l’aveva portato a Kes, per esempio- i suoi periodi di assenza sarebbero state delle piacevoli e salutari tregue; ma Kes… il giovane lo lasciò dopo un lungo bacio da cui si staccarono con difficoltà.

Lyo sedette sul divano, a guardare la parete, per un bel pezzo dopo che Kes se ne fu andato; poi cominciò a sentire il bisogno di indossare qualcosa per girare la casa; la vestaglia gli dava fastidio. I suoi abiti erano in camera di Kes, perciò prese il passaggio segreto; per magia, i resti della colazione e della notte passata erano scomparsi. Sul letto però c’era un pacco legato con un nastro. Lyo non resistette alla tentazione, e, guardando il biglietto, vide che c’era il suo nome.

“Fa’ finta che sia io ad avvolgerti. Kes” c’era scritto. Con mani impazienti lacerò la carta e trovò una tunica identica a quella che Kes indossava e che la sera prima gli aveva invidiato. La indossò immediatamente, poi uscì con fare furtivo per i corridoi; arrivò all’ingresso, l’unico luogo che riconobbe, e si mosse da lì a caso; infine tornò nella camera di Kes e si stupì di quanti libri, di quanti film e quanta musica avesse. In quella stanza c’erano cose di cui lui non immaginava nemmeno l’esistenza; se Kes fosse stato lì avrebbe passato il pomeriggio a farsi spiegare tutte le cose nuove che aveva trovato lì.

Quando Kes tornò, dopo la cena, lo trovò in poltrona, sprofondato nella lettura di un libro. Lyo lo chiuse non appena lo sentì entrare.

- Ciao. Che cosa leggi?-

Lyo gli mostrò la copertina. – Il mago di Oz. Sto cercando anch’io un cuore, come l’uomo di latta-.

- Ah- disse Kes, prendendo in mano il libro. – Io vorrei trovare la strada di casa… dovunque sia-.

Lyo lo guardò con tenerezza. Anche lui aveva l’aria di aver contato i secondi che lo separavano dal loro incontro. Kes parve leggergli nel pensiero.

- E’ stata la giornata più lunga della mia vita- sospirò. – Il tempo non passava mai… cos’hai fatto senza di me, tesoruccio?-

- Fondamentalmente mi sono annoiato. Ah, grazie. Il tuo regalo mi ha fatto molto piacere-.

- Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Quegli altri stracci erano indecenti, disgustosi-.

Lyo alzò le spalle. Si alzò e si diresse verso il paravento che nascondeva la piscina. Soltanto allora Kes si accorse che era già piena d‘acqua fumante, ed il profumo delle rose si spandeva lì attorno.

- Che significa?-

- Be’, ieri l’abbiamo fatto qui, perciò oggi… dovremmo ripetere l’impresa-.

- Oh… tu mi leggi nel pensiero…-.

Kes si immerse per primo. Osservò la tunica di Lyo che scivolava a terra, scoprendolo, e le sue movenze sensuali mentre scendeva i pochi gradini verso di lui. L’acqua amplificava le loro sensazioni, e mentre facevano l’amore Lyo ebbe paura di non riuscire più a ritornare dal limbo dov’era precipitato.

Si asciugarono su uno dei letti della stanza dei giochi, poi però Kes volle andare in camera sua. Chiuse a chiave entrambe le porte, perché sospettava che suo padre sarebbe salito a controllare in quale letto stava dormendo Lyo. Stettero abbracciati per un po’, sul letto, e nessuno dei due disse niente.

- Domani resto con te- annunciò Kes.

Lyo alzò un sopracciglio. – Ah sì? E tuo padre?-

- Gli ho detto che… be’, sono ansioso di esplorare fino in fondo le tue potenzialità, non so se mi spiego-.

- Ed è vero?-

- Mi piace fare l’amore, però mi piace anche abbracciarti e parlare-.

- Attento, è un brutto segno. I Patrizi non devono entrare in confidenza con gli Inferiori, specialmente se sono quelli che si portano a letto. È troppo pericoloso-.

- E perché? Potremmo accorgerci che gli Inferiori… che voi siete persone? Persone e non bestie?-

Lyo non trovò di che rispondere. Era la prima volta che sentiva le parole “Inferiore” e “persona” in una frase non spregiativa, e gli fecero un certo effetto. Era quasi come se se ne rendesse conto anche lui per la prima volta, di essere una persona. Forse non c’era nessun Inferiore che lo pensava, i Patrizi erano tanto bravi a far loro credere il contrario…e cioè che erano solo animali senza valore. Lui invece aveva valore per Kes. E lo conosceva da meno di due giorni.

- Sei bellissimo- disse Lyo, ed era sincero. Era il suo modo per dirgli che anche lui cominciava ad affezionarglisi.

- Mmm… non è vero. Io sono… sono uguale a tutti gli altri-.

- Ma sei più bello. Il tuo viso è il più bello di tutti-.

- No. Vorrei avere gli occhi neri, sai…-.

- Oh, no! E perché? Tu sei un Patrizio, hai gli occhi blu, e…-

- Tutti hanno gli occhi blu. Non c’è, come dire… non c’è scelta. Non c’è nemmeno il gusto della sorpresa. Forse è per questo che andiamo con gli Inferiori… per avere un po’ di varietà-.

Lyo rise; era così bello quando sorrideva, pensò Kes, con un misto d’inquietudine e contentezza nel cuore. Poi però Lyo tornò serio.

- I Patrizi non fanno sesso fra loro, vero? Non esistono… coppie di uomini o donne?-

Kes scosse la testa. – I rapporti fra Patrizi sono dettati principalmente da alleanze nobiliari od economiche… per soddisfare la propria natura ci sono gli Inferiori… quelli che scaldano i nostri letti e partoriscono i nostri figli. Se…se mi dovessi sposare, andrei in una clinica e ne uscirei con un figlio già bell’e fatto, e non saprei nemmeno che cosa è successo… come è successo-.

Kes aveva un tono amaro. Era evidente che aveva rimuginato spesso su quelle cose, che adesso sputava fuori per la prima volta, paradossalmente, con una persona a cui non era tenuto nemmeno a rivolgere la parola.

- Lo… lo sai che cosa penso?- continuò, ben deciso a sfogarsi, finalmente. Stava parlando con un nodo alla gola. – In quelle cliniche nessuno sa cosa fanno… ho studiato, un po’, e forse… forse loro fanno in modo che noi nasciamo in un modo e voi nell’altro. Forse, forse loro lo fanno apposta…-

Kes scoppiò in lacrime. L’ingiustizia del mondo in cui viveva lo tormentava, anche se quell’ingiustizia era favorevole per lui. Però… dovevano esserci pochissimi Patrizi che avevano queste idee, ed il padre di Kes –con i suoi amici- non doveva essere di quest’opinione.

- Come ti vengono in mente queste cose, Kes? Tu sei un Patrizio, hai tutto quello che puoi volere…-

- Io non voglio questo. Non voglio avere un figlio senza amore, e vivere senza amore per il resto della mia vita. Non devo innamorarmi di mia moglie e non posso innamorarmi di te…e allora che devo fare? Noi… noi cerchiamo un modo per cambiare tutto questo, per fare qualcosa di giusto-.

Kes gli confidò che quel “noi” era un’associazione segreta che era nata un paio d’anni prima lì a Temno, che contava pochi membri che però andavano sempre più aumentando, e reclutava giovani di idee liberali. Kes era venuto in contatto con loro solo uno o due mesi prima, ma le loro parole lo avevano subito infiammato. I membri si muovevano con grande circospezione, nel segreto più assoluto, e le nuove reclute erano spiate e controllate ancora prima che sapessero della sola esistenza del gruppo. Era comprensibile: sarebbe bastata una sola parola, e tutto sarebbe andato in pezzi. Kes gli promise che alla prossima riunione l’avrebbe portato con lui.

Passarono i giorni; Kes parlava sempre più spesso delle idee e dei sospetti della sua associazione contro il potere dei Patrizi, e Lyo lo ascoltava perplesso, dubbioso che fosse proprio un Patrizio a dirgli quelle cose, e a sostenere che la società andava cambiata. A quanto ne sapeva lui, erano sempre quelli per cui la situazione era sfavorevole a cominciare le rivoluzioni: quale privilegiato avrebbe voluto abbattere i propri privilegi? Poi, però, rifletteva, e pensava che vi era anche l’aiuto di persone illuminate… ma si domandava se Kes lo fosse, o non avesse abbracciato quella causa solo perché infervorato dalla novità. Per lui, cambiava poco o niente, anzi, Lyo non immaginava nemmeno come potesse essere un mondo diverso,   o meglio, che cosa avrebbero fatto lui e quelli come lui. D’altra parte, era sempre stato schiavo, e non rimpiangeva né sognava qualcosa di diverso: quella era la sua situazione, la sua vita. Anche se essere trattato da essere umano era una piacevole scoperta, e essere amato da Kes in quel modo che non aveva niente di servile era stupendo.

Circa un mese più tardi, Kes mantenne la promessa. Non dovette inventare una scusa molto grossa con suo padre; anzi, questi era contento che si portasse Lyo in giro per la città, dai suoi amici, in modo da sfoggiare la generosità di suo padre che gli aveva regalato un amante così bello. Kes nascose la macchina in un parcheggio sotterraneo a due isolati dalla loro destinazione, poi proseguirono a piedi, cercando di evitare –cosa piuttosto difficile- i coni di luce dei lampioni, e nascondendosi il più possibile al passaggio di ogni veicolo. Finalmente giunsero ad un vicolo cieco; a terra, sul fondo, c’era una botola di un tombino della città; Kes la spostò e fece scendere Lyo, poi, dando un’ultima occhiata in giro, entrò anch’egli e si chiuse la botola alle spalle. Scesero qualche gradino illuminato da una serie di incerte lampadine, ed arrivarono davanti ad una porta; Kes compì una sequenza piuttosto complicata di battiti sulla porta, e dopo un po’ gli fu aperto. L’uomo che stava dietro lanciò un’occhiata a Lyo, e lo indicò col mento.

- Non ti preoccupare, è a posto- disse Kes, ed entrarono.

L’interno era del tutto simile ad uno di quei locali in cui era stato anche Lyo, dove si acquistavano Inferiori; ai tavoli, però, erano seduti anche questi ultimi, che parlavano e bevevano con estrema libertà. Alcune coppie, sempre miste, ballavano alla musica soffusa, e altre si scambiavano effusioni sui divanetti in fondo. Lyo fu piacevolmente impressionato; non avrebbe mai pensato di vedere un locale in cui gli Inferiori erano vestiti decentemente e si comportavano liberamente. Guardando meglio, vide che c’erano anche alcune coppie di Patrizi, e questo lo sorprese ancora di più, ma non osò aprire bocca. Dietro al banco c’era un tizio dai tratti orientali –ma biondo, e con gli occhi azzurri- a cui non importava la razza della clientela. Forse non credeva nella dottrina predicata dall’associazione, ma non faceva storie perché, visto che anche gli Inferiori pagavano da bere, lui guadagnava il doppio.

Kes si sedette al tavolo dell’uomo che aveva aperto, insieme ad un piccolo gruppo di Patrizi ed Inferiori. Stavano proseguendo un discorso che Lyo non capì, ma a cui Kes partecipò attivamente. Ad un certo punto, alcune persone si alzarono e si diressero verso una porta in fondo alla sala, e rapidamente tutti quanto fecero lo stesso. Kes prese per mano Lyo ed entrarono anche loro.

Il ragazzo di poco prima era in piedi su una sorta di palco, e attendeva che tutti fossero seduti; era il capo, e stava per iniziare un discorso.

Kes ascoltava con grande fervore; Lyo perse rapidamente interesse per le parole dell’uomo, ma si accorse di essere l’unico: tutti gli altri sembravano avere l’aria di pendere dalle sue labbra.

-… e ora, fratelli, l’annuncio che da molti mesi vi avevo promesso: finalmente, dopo una ricerca meticolosa per tutte le città del mondo, abbiamo trovato i collaboratori che potranno diffondere il nostro ideale in un raggio sempre più vasto, fino a che non avremo convertito alla causa tutte le persone di buona volontà: e allora non avremo più difficoltà, e sarà il Mondo Nuovo!-.

I nuovi adepti, cinque o sei Patrizi, tutti molto giovani, come quelli che erano riuniti lì, salirono sul palco accolti da un coro di “Viva il Mondo Nuovo! Per il Mondo Nuovo”, e il capo li presentò all’assemblea; Lyo fu attirato da uno in particolare, che aveva gli occhi obliqui, e le mani sgradevolmente magre.

- Allora, che ti è sembrato? Finalmente l’associazione si diffonderà nel resto del mondo! Presto saremo pronti per attuare il nostro progetto!-

Lyo sospettò che Kes non avesse ben chiaro di che progetto si trattasse, ma si decise a parlare delle sue perplessità.

- A me sembra strano che un gruppo di Patrizi lotti per distruggere il gruppo dei Patrizi-.

- Tu non capisci lo spirito… hai visto le persone nel locale? Il nostro scopo è poterci amare liberamente, con chiunque vogliamo!-.

Lyo decise di non discutere oltre. Kes gli parlò ancora a lungo dell’assemblea, ma era evidente che più che altro era stato affascinato dalla personalità del capo, ed aveva creduto di ravvisare nelle sue idee qualcosa che anch’egli sentiva confusamente.

Un giorno, Kes tornò prima dal lavoro. Aveva abbandonato suo padre nel bel mezzo di un colloquio d’affari ed era scappato a rifugiarsi da Lyo. Quando lo vide, questi si accorse che aveva gli occhi lucidi e che tratteneva le lacrime.

- Che succede?- chiese mentre veniva travolto dall’impeto del suo abbraccio, e Kes incominciava a piangere, affondando il viso nel suo petto.

- Lyo…Lyo…- fu tutto ciò che Kes riuscì a dire; l’altro cercò di consolarlo, finché poco a poco ci riuscì.

- Mi vuoi dire che cos’hai?- gli chiese sollevandogli il viso. – Scommetto che hai piantato in asso tuo padre…- cercò di scherzare, ma un gesto della mano di Kes lo interruppe.

- Lyo, vogliono… vogliono che mi sposi!-

Lyo sussultò involontariamente. Il cuore prese a battergli all’impazzata, ma cercò di restare lucido.

- E allora?- disse. – Tanti Patrizi si sposano, e…-

- Ma io non voglio! Lyo, non voglio!- singhiozzò di nuovo, cercando nel suo viso un segno di comprensione.

- Ma perché?- chiese, ostinatamente, Lyo.

- Perché… perché io…- era difficile esprimere quello che sentiva, per Kes. – Perché io ho te…-.

Il cuore di Lyo si sciolse. Aveva cercato di rimanere freddo, di ripetersi che lui era solo un amante, solo un giocattolo, ma sapere che Kes provava dell’affetto per lui lo riempiva d’amore. Kes non l’aveva mai considerato un oggetto, ma cominciò ad amarlo come un compagno, e a trattarlo di conseguenza. Si oppose recisamente al progetto delle sue nozze, e contemporaneamente lui e Lyo cominciarono ad essere più spregiudicati nel loro comportamento: Kes non chiudeva mai a chiave la camera dei giochi, e Lyo girava per la casa anche quando il padre era presente, rischiando di incontrarlo ad ogni angolo; Kes si sentiva più forte, e in grado di tenere testa alla famiglia, finché, una settimana dopo, arrivò una telefonata.

Kes vide che si trattava di un membro dell’associazione, e, visto che stava leggendo sul letto, mise il vivavoce. Lyo vide che mano a mano che la conversazione proseguiva, lo sguardo di Kes era sempre più attento e preoccupato, e si avvicinò.

-… quello che veniva dal Nord… hanno preso solo lui, ma ricercano anche gli altri… la sede è bruciata, e anche noi, se qualcuno parla…-

- Che succede?- chiese Lyo.

Kes lo zittì con un gesto.

- … tuo padre ha quei palazzi… potresti nasconderceli… dacci le chiavi, ci penseremo noi, tu non andrai di mezzo…-

- Io… non so… non ho idea di dove tenga le chiavi… i cantieri sono fermi, però…-

- Kes, non puoi lasciare il capo con le spalle scoperte… almeno finché…-

- Sta arrivando qualcuno. Ci penserò-. Kes chiuse rapidamente la comunicazione, anche se la sua scusa non era vera.

- Allora, che sta succedendo?- volle chiedere di nuovo Lyo.

- Ci hanno traditi-.

Lyo trattenne il fiato.

- Uno di quelli che hanno presentato all’ultima riunione…era una talpa. Ha denunciato l’associazione al governo, ma non hanno preso nessuno. Stanno cercando il capo, e la sede è inutilizzabile. Hanno arrestato solo il padrone, ma lo rilasceranno, e… mi hanno chiesto di nascondere il capo…-

- Lo farai?-

- Mio padre ha dei cantieri in cui si potrebbe fare, ma… dovrei rubargli le chiavi, e…-

- Kes, non te la senti? Se credi davvero in quello che dicono, dovresti farlo…-

- E perché? Se si sono rivelati a quelle persone, che colpa ne ho io? Se mio padre li scoprisse, potrebbe anche…-

- Potrebbe anche mangiare la foglia, Kes? Ma i tuoi ideali, il tuo grande progetto… adesso vuoi tirarti fuori?-

Kes cominciò ad innervosirsi.

- Non sono tenuto a fare qualcosa per loro! Non posso mettere a repentaglio…-

- Che cosa? L’opinione di tuo padre? Ma se non hai fatto altro che fregartene, che contraddirlo, da quando ti conosco? O forse hai paura che ti tagli i fondi? Ti piace fare il ribelle finché non devi impegnarti sul serio?-

- Stai zitto! Sei l’ultima persona che può farmi la morale! Non dovresti nemmeno parlarmi, tu!- gridò, con la precisa intenzione di ferirlo. E ci riuscì.

Gli occhi di Lyo divennero gelidi. Le sue labbra presero una piega amara, ed incrociò le braccia sul petto, distogliendo lo sguardo da lui. Poi si alzò, prese la sua vestaglia, attraversò il passaggio segreto, e si gettò sul primo letto che gli capitò davanti. Kes lo seguì solo fino alla porta.

- Ma no, dai… io non volevo…Lyo!-

Lyo non diede segno di averlo sentito.

- Va bene, fa’ quello che vuoi, allora!- Kes tornò in camera sbattendo la porta. Continuò a rigirarsi nel letto per tutta la notte, sempre più propenso a pentirsi, beninteso se Lyo avesse fatto il primo passo. Se, per esempio, la mattina dopo l’avesse salutato, allora si sarebbe gettato ai suoi piedi chiedendogli perdono. Il guaio era che anche Lyo pensava la stessa cosa; così, la mattina dopo, non si rivolsero la parola, anzi, non si videro neanche, perché ognuno restò dal proprio lato della porta. Lyo trascorse l’intera giornata steso sul letto, a meditare, Kes invece la passò cercando di rendere la vita impossibile a suo padre. Ancora una volta, a sera, nessuno dei due si decise ad affacciarsi nella camera dell’altro, e dormirono ancora soli. Lyo si sentiva decisamente stupido a tenere il muso a Kes per qualcosa di cui in definitiva non gli importava niente, ma era una questione di principio, e ne andava ormai della sua dignità. Kes non poteva trattarlo da pari a pari solo finché gli faceva comodo, e doveva capirlo e scusarsi.

Kes non dormì nemmeno quella notte. Il contatto con Lyo gli mancava, e, dannazione, non riusciva quasi a ricordarsi il perché avevano litigato. Però ricordava benissimo che quello che gli aveva detto era davvero meschino, ed aveva fatto male a se stesso non meno che a Lyo. L’indomani si appostò, in attesa che uscisse dalla camera, per chiedergli scusa. Quando Lyo uscì, lo afferrò per un braccio attirandolo nella nicchia in cui si era nascosto. L’espressione di Lyo era di divertita sorpresa: non gli avrebbe detto di no, però cercava di fare ancora il sostenuto. Kes lo guardò seducente.

- Sono stato uno stupido a dirti quelle cose. Mi vuoi perdonare?-

- Non ho sentito bene quelle poche paroline “ Lyo, sono stato un cretino, avevi ragione tu, come al solito. Ti chiedo umilmente scusa”. Allora?-

Kes ripeté diligentemente. Poi si accostò all’orecchio dell’amico e gli sussurrò: -Ti amo-.

Lyo non gli disse più di no, e si lasciò coinvolgere nel profondo bacio che Kes gli diede. Quel bacio gli aveva fatto venire una mezza idea su come impegnare le ore successive, ma quando aprì gli occhi vide il padre di Kes, alle sue spalle, che li guardava costernato. Si irrigidì, Kes se ne accorse, si voltò, e diventò pallido come un cencio. Un attimo dopo, le sue orecchie divennero una fiamma.

- Vattene via, tu- disse l’uomo a Lyo, senza guardarlo. Lyo si ritirò nella camera dei giochi, e tenne l’orecchio appoggiato alla porta, in ansia. Fuori, ci fu un lungo attimo di silenzio.

- Che cosa credi di fare?- cominciò poi con durezza il padre di Kes.

- Papà, io…-

- Quello – e lo disse con malcelato disprezzo – non avrebbe dovuto essere qui fuori. Deve stare in quella camera, è lì apposta. Mi vuoi spiegare perché non lo chiudi a chiave?-

- Ma papà, non è una prigione… lui non è un prigioniero…-

- E’ un Inferiore! Gli Inferiori devono stare al loro posto!-

- Ma papà…-

- Basta! Non devi permettergli di fare quello che vuole! Il suo compito è quello di soddisfarti, punto e basta. Non deve, ripeto, non deve azzardarsi a girare per la casa! E’ soltanto un Inferiore!-

- E’ una persona!- gridò Kes. Suo padre assunse un’espressione sardonica.

- Una persona? Chi ti ha detto un’idiozia del genere? Gli Inferiori sono bestie! Sono… delle scim-mie!-

- Se fossero delle bestie non ci faresti l’amore! Se fossero bestie non partorirebbero figli da noi!-

- Ah, i figli! Se gli Inferiori fossero come noi farebbero dei figli come noi, no? Farebbero dei figli Patrizi! Se fossero come noi sarebbero Patrizi!-

Kes si morse il labbro. Temeva di esprimere le sue opinioni di fronte al padre, ma poi gli sputò in faccia tutto quello che pensava.

- Ma quelli fanno in modo che i nostri figli siano come loro! Forse sarebbero anche Patrizi, se…-

- Hai guardato troppa televisione. Quelle stupide idee di quel gruppo di rivoluzionari… idioti, e tu non sei da meno, se gli credi… se gli Inferiori potessero avere figli come noi, dovrebbero nascere Patrizi dai matrimoni fra Inferiori. Tu che ti vanti tanto di aver studiato, se hanno i nostri geni dovrebbero nascere dei Patrizi, no? E perché non accade?-

Kes avrebbe potuto facilmente controbattere con l’ipotesi che le cliniche manipolassero in qualche modo i geni dei nascituri, come aveva imparato nell’associazione, ma gli argomenti di suo padre e l’autorità che aveva su di lui lo ammutolirono. Il padre ne approfittò per rimproverarlo di nuovo.

- E comunque non voglio mai più vedere quell’Inferiore fuori da quella camera! Ho tollerato fin troppo: se non ti vuoi sposare, passi, ma non voglio che quello giri per casa insozzando…-

- Papà, non ha la peste! Non ti può infettare la casa se va in giro! E’ un essere umano! Lyo è un essere umano!-

- Lyo… sei arrivato a chiamarlo per nome? Quella puttanella ti ha circuito per bene, a quanto vedo. Non dovresti permetterglielo. D’ora in poi lo terrai chiuso a chiave, e non gli permetterai di fare quello che vuole-.

- No, papà. Io… non voglio-.

- Non vuoi? Non vuoi? Kes, è un Inferiore! Lui appartiene a te, ma tu non devi appartenere a lui! Lui è solo il tuo passatempo! Devi controllarlo!-

- Papà, l’amore.. l’amore non si piò controllare…- disse Kes, piano, con gli occhi bassi. Lyo sentì un tuffo al cuore. Ti prego, non dirglielo, non dirglielo, implorò piano.

- Che cosa?- disse il padre, con un moto di sorpresa.

- Papà, io lo amo!-

Il padre ammutolì per un attimo, ma fu un secondo, poi tornò subito alla carica.

- Ah, sì? Be’, finché stai sotto il mio tetto non voglio sentire cretinate del genere. Se vuoi renderti ridicolo, vattene dalla mia casa. Fa’ quello che ti pare, ma fuori di qui-.

- Papà, io…-

- Bada bene, se sento un altro fiato ti toglierò ogni cosa. Non vedrai mai più un soldo da me! D’ora in poi quello lo chiuderai a chiave, altrimenti te le faccio passare io le mattane. E, figliolo, d’ora in poi pensaci due volte prima di dire stronzate-.

Il padre si allontanò. Aveva vinto; Kes si sentiva svuotato, e davvero stupido per non aver tenuto testa a suo padre, anche se sapeva di avere ragione. Rientrò nella camera; Lyo gli andò vicino.

- Come va, Kes?-

- Lasciami stare-.

Lyo cercò di abbracciarlo.

- Lasciami in pace, ti ho detto, per favore! Adesso non mi va-.

Lyo tacque per un po’, poi non resistette più.

- Kes, perché non gli hai detto… perché non gliel’hai detto?-

- Che cosa?-

- Ma… tutte le cose che hai detto a me… delle idee dell’associazione… dell’amore, e…-

- Sì, per farlo arrabbiare ancora di più? Per fargli capire tutto e farmi sbattere in prigione?-

- Ne eri così convinto… allora non era vero…-

- Lyo, finiscila, non ho voglia di litigare-.

- Avresti dovuto tenergli testa, rispondergli per le rime!-

- E non l’ho fatto? Credi che sia facile?- Kes si stava scaldando. Lyo non voleva litigare, aveva intenzione soltanto di tirarlo su, e non si rendeva conto di aver imboccato una strada pericolosa. I suoi occhi dicevano ancora: ”Abbiamo appena fatto pace, non litighiamo di nuovo”.

- Però… dovevi dirgli tutto quello che pensi… dovevi fargli capire che non sei meschino come lui!-

- Ah, sì, avrei dovuto farmi sbattere fuori a calci? Che cosa avrei fatto, allora? Che cosa avremmo fatto? Ma già, a te che te ne importa? Tanto, tu puoi sempre venderti il culo, che te ne frega? Ci sei abituato!-

Lyo incominciò a piangere. Ma le sue erano lacrime di rabbia, e, anche, di odio.

- Kes, sei più stronzo tu di tuo padre! Lui almeno te lo dice in faccia quello che pensa! Mi fai schifo, anzi mi fai pena, non riesci a vivere senza la pappa pronta!-

- Stai zitto! Finiscila!- Tutta l’ira che sentiva contro suo padre si riversò fuori all’improvviso. Colpì Lyo con il dorso della mano, ripetutamente, e quando Lyo si difese, rispondendo ai colpi, accecato, afferrò la prima cosa che gli capitò in mano e colpì Lyo, forte, il più forte possibile, con un grido animalesco. Soltanto quando Lyo cominciò a gridare per il dolore, tornò lucido. Vide il sangue sul petto di Lyo, e sangue sull’attizzatoio che gli cadde dalle mani. Andò vicino a Lyo, piangendo.

- Oh, Lyo, oh, ti prego, scusa… scusami…-

Lyo non lo guardava, e teneva una mano sulla ferita. Kes lo fece medicare, e gli restò vicino mentre si riprendeva dalla perdita di sangue. Adesso però, lo sentiva distante, sentiva di aver creato un baratro tra loro, e non aveva idea di come tornare a colmarlo.

Per qualche giorno gli restò accanto, cercando di consolarlo dagli atroci dolori di cui era preda. Se aveva avuto altre discussioni con il padre, Lyo non lo sapeva. Quella mattina, quando si accostò per baciarlo, Lyo vide che aveva una chiave di ottone fra le dita.

- Non chiudermi… ti prego- gli disse piano.

- Non… non posso. Mio padre…-

- Per piacere-. Lyo era troppo debole, e stanco, per litigare. Ma non voleva che Kes lo chiudesse dentro. Anche Kes non avrebbe voluto, ma suo padre gli aveva fatto capire che Lyo sarebbe sparito, se non gli avesse obbedito. Avrebbe potuto farlo sparire anche prima, per affermare chiaramente e subito la sua autorità, ma evidentemente preferiva logorare i due giovani ed il loro rapporto con la paura e le minacce velate.

- Tu non mi ami davvero- disse Lyo, in un ultimo tentativo.

- Non è vero. Se lo faccio, è perché ti amo-. “Ti prego, credimi, non farmi piangere” gli dicevano gli occhi lucidi di Kes. Lyo distolse lo sguardo, rivolgendolo verso la finestra.

- Tieni il piede in due scarpe? Qui dentro mi ami da impazzire, ma fuori devono credere tutti che mi disprezzi? Pensavo che fossi diverso, pensavo che…-

- Lyo- gli sussurrò Kes, andandogli vicino. – Ho nascosto i nostri capi nel cantiere di mio padre. Ti prego, non mettermi in difficoltà più di quello che sono già-.

Lyo annuì con poca convinzione. La parte più egoista di lui gli diceva che Kes avrebbe dovuto ribellarsi, per lui; ma la parte razionale tentava, con poco successo, di dargli ragione.

Restò voltato verso la finestra, mentre il dolore al petto si riacuiva. Un raggio di sole entrava.

Si sentiva come se Kes l’avesse esposto, nudo, alla mercé di chiunque volesse toccarlo o insultarlo. Ma lui, in fin dei conti, era solo un giocattolo.

Dietro di sé, sentì le due mandate che chiudevano la porta, e sospirò.

continua?

 


Volete sapere che fine fanno Kes e Lyo? ... anche io! Ma non mi viene in mente niente... se avete qualche piccolissima idea su cui lavorare, ve ne sarò infinitamente grata!


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